STORIE DI BRIANZA / Precipitati nel vuoto e rimasti sepolti: incubo cinquant'anni fa

Due storie a Agrate Brianza e Monza: i protagonisti si salvarono miracolosamente

La tromba di un ascensore

La tromba di un ascensore

Monza, 22 aprile 2019 - Precipitare. E rimanere sepolti vivi. Incubi comuni a ciascuno di noi. Nessuna possibilità di chiedere aiuto, di essere sentiti, di trovare luce e aria. Ma pure cibo o acqua. Qualcosa di simile è capitato anche da queste parti ormai oltre cinquantanni fa, a poca distanza di tempo l’uno dall’altro, si verificarono due episodi spaventosi.

Nell'inverno 1963 la cittadina di Agrate Brianza è sconvolta da un incidente tanto spaventoso quanto singolare. La sera del 19 gennaio un radiotecnico di 24 anni si reca nell’appartamento di un suo conoscente in uno stabile non ancora completato di via Matteotti. Il suo amico ha bisogno di qualcuno di esperto per procedere alla riparazione di un apparecchio televisivo. Siamo all’ultimo di sette piani. Al termine del lavoro, il giovane tecnico torna sul pianerottolo dirigendosi verso l’ascensore, pronto a tornare a casa. Aperta la porta però, invece della cabina dell’ascensore, trova il vuoto. Non fa in tempo ad arrestarsi, ormai lo slancio è tale da portare a un’inevitabile conseguenza: e il giovane precipita lungo la tromba dell’ascensore. Un volo di diversi metri, per tutta l’altezza della casa. Sette piani. Riesce però per sua fortuna ad afferrarsi disperatamente per qualche tratto al cavo di trazione dell’ascensore e ad attutire così gli effetti della rovinosa caduta: precipita comunque fino al piano seminterrato, ma riesce a salvarsi. Si frattura una gamba e si procura diverse contusioni alla testa e in svariate parti del corpo. E perde conoscenza.

Tutto finito? Non proprio. L’incubo per lui deve ancora cominciare. Nessuno infatti si accorge dell’incidente in cui è incappato. Nell’edificio evidentemente non abitano ancora molte persone e il suo amico non è nei paraggi. I familiari del giovane, non vedendolo tornare a notte ormai fatta, lo vanno a cercare e trovano la sua utilitaria parcheggiata nei pressi di via Matteotti. Senza però alcuna traccia del giovane elettricista.  Dove sarà finito? Qualcuno lo avrà aggredito nel buio? Oppure sarà andato a fare le ore piccole in una nottata di bagordi? Possiamo solo immaginare cosa sia passato nella testa dei congiunti del giovane.  Il mistero si risolve soltanto l’indomani, quando una donna delle pulizie sente provenire dal seminterrato dei flebili lamenti che richiamano la sua attenzione. Ripresa conoscenza e pur impossibilitato a muoversi, il giovane sta chiedendo aiuto. Viene chiamata a quel punto un’ambulanza che lo soccorre e lo trasporta all’ospedale di Vimercate, dove rimane ricoverato per diverso tempo. Per guarire dalle ferite nel corpo. E forse anche nell’anima dopo una nottata di assoluto terrore. Dopo il terrificante e a suo modo miracoloso episodio la vittima decide di sporgere denuncia verso i presunti responsabili dell’incidente: il portiere dello stabile e il proprietario dell’edificio, proprietario fra l’altro di diversi appartamenti ad Agrate Brianza. 

Si apre il processo e nel 1967 si arriva a ricostruire la probabile esatta catena dei fatti: il portiere dello stabile, dato che il funzionamento dell’ascensore era difettoso, aveva manovrato dall’esterno il dispositivo di sicurezza postando la cabina dal piano in cui si trovava senza però disporre nessun cartello o segnale che potesse avvisare chi si appressava all’ascensore della sua momentanea... assenza. Il custode verrà alla fine condannato al pagamento di 100mila lire di multa, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni al giovane, a cui viene riconosciuta una invalidità del 27 per cento. Il proprietario dello stabile verrà invece assolto.

Nella seconda vicenda raccontiamo il dramma (per fortuna a lieto fine) vissuto da un'anziana rimasta sepolta per 36 ore. Per tanto tempo rimase infatti prigioniera la “sciura” Emma, 68 anni, in uno scantinato cui era precipitata fratturandosi le gambe. Anno 1967: la donna, una “gattara”, si era recata come di consueto in una vecchia casa disabitata in via Canonica, dietro al Duomo di Monza, per sfamare una colonia di gatti randagi. Nella borsa, latte e avanzi vari. Nell’oscurità, però, Emma non si accorse che le assi del pavimento, consumate dal tempo, avevano ceduto aprendo una voragine. E ci finì dentro trascinando un cumulo di detriti che la lasciarono semisepolta e priva di sensi. Dopo diverse ore, alcuni parenti preoccupati, conoscendo le sue abitudini, si recarono in via Canonica chiamando inutilmente ad alta voce. Solo l’indomani alcuni ragazzi udirono i suoi lamenti. Ed Emma venne salvata: sollevata con un lenzuolo sotto le ascelle. Se la cavò con 30 giorni di prognosi. E tanta paura.