Monza, omicidio Sebastiano. I baby killer: "Volevamo rapinarlo, Gambino non c’entra"

I due ragazzini che uccisero Sebastiano interrogati nel processo al presunto mandante. Per la Procura mentono o tacciono per paura

I carabinieri sul luogo del delitto

I carabinieri sul luogo del delitto

Monza - "Siamo andati da Cristian per rapinargli la cocaina, non per ucciderlo. Quando lui ha preso la bustina, io ho tirato fuori il coltello e ho iniziato a colpirlo, non ho più ragionato, a quei tempi non ragionavo molto perché ero sempre sotto l’effetto di droga. Ma Giovanni non era con noi, non c’entra nulla con questa vicenda".

R. aveva 14 anni il 29 novembre 2020 quando insieme a S. di 15 anni ha ucciso con una trentina di coltellate sotto i portici dei palazzi popolari del quartiere San Rocco a Monza il 42enne Cristian Sebastiano. Entrambi, tossicodipendenti e residenti nello stesso quartiere, sono già stati condannati a 14 anni e 4 mesi di reclusione, confermati anche nel processo di appello, dove i giudici hanno disposto una perizia psichiatrica che ha concluso come l’abuso di droga dall’età di 12 anni possa avere inciso negativamente sulla loro crescita, ma poi hanno lasciato identica la sentenza di primo grado del Tribunale per i minorenni di Milano. Ora alla sbarra c’è Giovanni Gambino, 43enne monzese vicino di casa e amico della vittima, dall’aprile 2011 in carcere perché per gli inquirenti ha istigato all’omicidio i due minorenni. R. e S. sono stati convocati ieri dalle carceri minorili in cui sono detenuti alla Corte di Assise di Monza, chiamati a testimoniare dalla pm della Procura monzese Sara Mantovani come imputati di reato connesso. Il primo a sedersi davanti ai giudici è stato R., che inizialmente non ha voluto avvalersi della facoltà di non rispondere ad interrogatorio, come è permesso dalla legge finché la propria sentenza non è passata in giudicato e diventata definitiva. "Io compravo cocaina da Cristian e spacciavo ‘fumo’ - ha raccontato R. - Andavo a casa di Gambino perché era mio cliente, eravamo a casa sua la mattina dell’omicidio perché gli vendevo la droga ma non abbiamo parlato con i presenti dell’intenzione di rapinare Cristian, ne abbiamo parlato io e S. e magari qualcuno ci ha sentito".

Nella ricostruzione dei momenti prima dell’omicidio R. ha raccontato: "Prima dell’appuntamento ho telefonato a Cristian da una cabina telefonica per confermare l’orario, non usavo il telefonino per non farmi beccare, la cabina telefonica è quella vicino alle Poste". La pubblica accusa ha raccolto la testimonianza di un altro ragazzo informato sui fatti secondo cui è stato Giovanni Gambino a fare quella telefonata alla vittima, da una cabina telefonica diversa da quella indicata dal baby killer. A questo punto R. ha deciso di smettere di rispondere alle domande. Ma prima di andarsene è stato incalzato dalla presidente della Corte di Assise di Monza Maria Letizia Brambilla munita di alcuni fogli con il percorso. "La cabina telefonica vicino alle Poste non è quella da cui è partita la telefonata, che è delle 12.25 - ha ricostruito invece la presidente - Dalla cabina ai palazzi popolari sono 700 metri che, ad un’andatura normale, si percorrono in 9 minuti. La prima chiamata ai soccorsi dopo l’accoltellamento di Cristian Sebastiano risulta alle 12.45 e ci sarà voluto qualche minuto a chi ha telefonato ai soccorritori prima di rendersi conto che c’era un uomo ferito a terra, quindi sta dicendo una bugia, può andare". Dopo R. in aula è entrato S., che ha subito annunciato di volersi avvalere della facoltà di non rispondere. "C’è la famiglia di Cristian che attende di sapere cosa è successo - ha detto la pm per cercare di fare cambiare idea al ragazzo - Devi dircelo se sei preoccupato dell’incolumità tua e dei tuoi familiari". Ma non è riuscita a convincerlo. Ci ha provato anche la presidente della Corte di Assise. "Soltanto dimostrando di avere intrapreso un percorso di rivalutazione critica di quanto è accaduto potrai accedere ai benefici di una riabilitazione", ha dichiarato. "Ha detto tre volte di volersi avvalere, prendiamone atto", ha ribattuto l’avvocato Manuel Gabrielli, difensore di Giovanni Gambino. "Insistere vuol dire metterlo in difficoltà, il ragazzo ha già fatto le sue scelte e queste non influiranno sul suo percorso di riabilitazione", ha chiosato invece l’avvocata Renata D’Amico, difensore del minorenne.

La presidente è comunque riuscita a farsi dire dal ragazzo quale fosse la cabina telefonica da cui è stato chiamato Cristian prima dell’omicidio e chi gli ha telefonato. "Non l’ho chiamato di certo io - ha risposto S. - la cabina era quella tra il bar e la farmacia". Il processo è stato poi riaggiornato a metà settembre, quando sarà la volta dell’interrogatorio di Giovanni Gambino.