Muggiò, ucciso col batticarne: il figlio si accorse dei colpi

La motivazione della sentenza di condanna del padre a 3 anni di reclusione. Per la difesa l’ischemia mortale era stata causata da fattori precedenti

La villetta del delitto

La villetta del delitto

Muggiò (Monza) -  «Non è vero che la vittima non si è neanche reso conto dell’aggressione ad opera del genitore". Per questo motivo la gup del Tribunale di Monza Emanuela Corbetta ha condannato a 3 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale Mario Colleoni, pensionato di 73 anni di Muggiò, ritenendolo responsabile per la morte del figlio Gianluca, 48 anni, stramazzato al suolo per un infarto nel dicembre 2018 nel giardino della villetta dei genitori dopo essere stato colpito alla testa con un batticarne. Il fatto è accaduto la mattina di domenica 9 dicembre 2018 quando l’anziano, dopo una lite con il figlio, l’ha rincorso nel giardino della loro villetta di Muggiò e l’ha aggredito.

Nel processo con il rito abbreviato la pm della Procura di Monza Stefania Di Tullio aveva chiesto la condanna del pensionato a 9 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio volontario. Una conclusione a cui si è opposta invece la difesa di Mario Colleoni, la cui perizia ha concluso che la reazione di stress che ha portato all’ischemia mortale di Gianluca Colleoni è stata causata non dai colpi ricevuti, ma da fatti precedenti che si sono concatenati: il 48enne aveva avuto un incidente stradale poche ore prima e aveva distrutto l’auto e, a causa dell’assunzione di sostanze alcoliche e stupefacenti, era in preda ad uno stato di forte agitazione, che lo aveva portato ad inveire violentemente tra le mura domestiche. Quindi non esiste per la difesa il nesso causale tra il decesso e i colpi inferti dall’imputato. 

La giudice ha disposto una terza consulenza, nominando d’ufficio un proprio perito, che ha avallato la tesi della difesa, sostenendo l’esistenza di molti fattori per la morte improvvisa del 48enne indipendentemente dall’aggressione subìta dal padre. Non lo stress per l’aggressione, ma le condizioni di massima vulnerabilità nell’esposizione agli effetti tossici dovuti alla contemporanea assunzione di alcol e droga che lo predisponevano alla morte improvvisa, indipendentemente dall’aggressione subìta. La giudice però ha concluso diversamente. "Il cadavere presentava un imbrattamento ematico ad entrambe le mani - ha motivato la gup nella sentenza di condanna per omicidio preterintenzionale - Il che può spiegarsi solo con il fatto che Gianluca si sia portato le mani al capo, a parare l’aggressione da parte del padre. Oltretutto l’essere finito a terra ferito e l’esservi stato colpito ancora un paio di volte fanno escludere l’assenza di consapevolezza di quanto gli stesse accadendo". A questo la giudice aggiunge il rilievo "della esclamazione riferita dall’imputato ‘ma cosa fai, cosa stai facendo?’ che conferma questa consapevolezza". Per Emanuela Corbetta quindi "non può dunque condividersi la tesi peritale secondo cui, mancando la prova di una colluttazione, Gianluca neppure avrebbe avvertito quello che gli stava accadendo, quindi nessuna conseguenza stressogena si sarebbe in concreto verificata".