Desio, omicidio Vivacqua: si riparte da zero dopo sette anni

L'avvocato Cacciuttolo: "Assenza di un movente certo che continua a cambiare a ogni grado di giudizio e supertestimone sentito senza legale"

Il  luogo dell'omicidio di Franca Lo Jacono

Il luogo dell'omicidio di Franca Lo Jacono

Desio (Monza),17 novembre 2018 -  Si riapre, a 7 anni dall’omicidio, il processo per la morte di Paolo Vivacqua. La prima sezione della Corte di Cassazione ha disposto di rinviare ad una nuova sezione della Corte di Assise di Appello di Milano il giudizio per gli imputati dell’uccisione del rotamat siciliano ammazzato il 14 novembre 2011 con 7 colpi di pistola nel suo ufficio di Desio.

Nella sentenza di appello i magistrati milanesi avevano avallato in toto la decisione dei giudici della Corte di Assise di Monza, che avevano inflitto la pena dell’ergastolo ad Antonino Giarrana e Antonino Radaelli, ritenuti gli esecutori materiali del delitto (già in carcere per il successivo omicidio della consuocera di Vivacqua, Franca Lajacono, sempre alla ricerca del lauto bottino dell’imprenditore siciliano). Condanna a 23 anni ciascuno per il presunto intermediario Salvino La Rocca e per Diego Barba, ritenuto dalla Procura di Monza il mandante dell’omicidio insieme alla presunta amante Germania Biondo, moglie di Paolo Vivacqua, difesa dall’avvocata Manuela Cacciuttolo e assolta invece dalla pesante accusa di omicidio volontario premeditato.

Nel ricorso in Cassazione presentato dalla difesa degli imputati, invece, la Suprema Corte ha annullato la sentenza nei confronti di Diego Barba e Salvino La Rocca (difesi rispettivamente dagli avvocati Manuela Cacciuttolo e Salvatore Manganello) e la stessa cosa ha fatto, ma soltanto in merito alla contestata aggravante della premeditazione nell’omicidio, per Antonino Giarrana e Antonino Redaelli (difesi dagli avvocati Angelo Pagliarello e Monica Sala).Per tutti  ha disposto un nuovo processo. Per Barba e La Rocca lo stesso sostituto procuratore generale aveva chiesto di annullare la sentenza, accogliendo i motivi della difesa, che si basano sostanzialmente su due questioni.

«Prima di tutto l’assenza di un movente certo, movente che continua a cambiare ad ogni grado di giudizio - spiega l’avvocato Manuela Cacciuttolo -  Prima la volontà di impossessarsi del patrimonio di Paolo Vivacqua, poi quello della ricerca della borsa contenente i 5 milioni di euro ottenuti da Vivacqua per la vendita del terreno Bricoman e il desiderio di rivalsa di Barba nei confronti della vittima, movente sconfessato dalla ricostruzione dei fatti».Poi anche l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del presunto supertestimone della pubblica accusa – prosegue il legale – , per cui ho prodotto la sentenza del giudice di Monza con cui viene accertato che lo stesso avrebbe dovuto essere sentito con le garanzie di legge, in quanto vi erano elementi per indagarlo e che la sua ritrattazione nel corso dell’incidente probatorio integra la falsa testimonianza».