Night club con lucciole ma le ragazze erano vittime

Entra nel vivo il processo ai tre gestori (compresi padre e figlio) e all’autista che avevano trasformato il retro di un ristorante in bordello di giovani indigenti

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di Stefania Totaro

Avrebbero costretto giovani donne, italiane e albanesi, a prostituirsi in un circolo privato nel retro di un ristorante, trasformato in nightclub con locali privée, sala bar e vip room, con al centro una vasca a idromassaggio, dove si consumavano rapporti sessuali. È l’accusa di cui devono rispondere in un processo entrato ieri nel vivo al Tribunale di Monza quattro imputati: un 74enne e un 47enne di origini calabresi (Salvatore Patarino e il figlio Franco, residenti rispettivamente nelle province di Lecco e di Monza) e un 49enne residente in Brianza, Ezio Micieli, ritenuti i gestori del night club e un albanese accusato di essere uno degli autisti. Per la vicenda hanno già patteggiato la pena concordata col pm Giovanni Santini rispettivamente di 4 anni e 4 mesi e di 2 anni l’albanese direttore del locale notturno e un complice tuttofare, mentre è stata condannata col rito abbreviato a 2 anni e mezzo una donna albanese 28enne, considerata l’intestataria nonché prestanome di conti correnti e aziende riconducibili al nightclub, attraverso i quali veniva riciclato il denaro di provenienza illecita. Le accuse contestate sono a vario titolo per associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. La rete illegale era stata scoperta nel maggio 2021 dai carabinieri di Saronno. A fare scattare le indagini una delle vittime, una giovane italiana residente nel Varesotto, che ha denunciato 3di essere vittima di violenza da parte degli arrestati, che approfittavano delle difficoltà economiche delle ragazze a cui offrivano un lavoro per poi costringerle a ‘vendersi’. La donna ha chiesto aiuto ai carabinieri dopo essere stata aggredita e ha raccontato confusamente di una notte dove sarebbe stata costretta ad assumere alcol e droghe e poi violentata. Le indagini avrebbero portato alla luce una sistematica attività di reclutamento, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione di ragazze in prevalenza straniere e in condizioni di bisogno. Al dibattimento ha testimoniato un maresciallo dei carabinieri, secondo cui "dalle intercettazioni emerge chiaramente che Franco Patarino era a capo dell’organizzazione criminale. In auto insieme all’autista Patarino lo rimprovera di essersi fatto condizionare da alcune delle ragazze ed è lui che una delle giovani chiama al telefono dopo avere avuto un diverbio con uno dei gestori, oltre ad essere sempre lui ad ordinare a Micieli di mettere i soldi dell’incasso in una busta". Gli imputati negano invece decisamente le accuse, tanto da reagire così scompostamente alla testimonianza in aula da costringere la presidente del collegio di giudici a redarguirli.