Io, la tivù al bar e il sogno della Luna

L’astronauta Paolo Nespoli e il ricordo della calda estate del 1969

Paolo Nespoli

Paolo Nespoli

Monza, 16 luglio 2019 - «Ricordo ancora l’emozione, seguivamo tutti la corsa fra Americani e Russi a chi sarebbe stato il primo a sbarcare sulla Luna». Il 20 luglio del 1969 Paolo Nespoli da Verano Brianza, AstroPaolo, aveva appena 12 anni. Ancora non sapeva che un giorno sarebbe diventato un astronauta come i suoi eroi Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins. E certo non immaginava che sarebbe volato tre volte nello Spazio, l’ultima due anni fa, all’età di 60 anni. E che avrebbe stabilito il record di più di 313 giorni in orbita. Oggi Nespoli si divide fra la sua casa americana a Houston, con moglie e due figli, e Pisa, dove insegna all’Università Normale. Ma se gli parli del 50esimo anniversario dell’allunaggio, apre subito il libro dei ricordi.

«In quei giorni ero al mare, mi avevano mandato in colonia a Cattolica. E nei giorni dell’allunaggio vennero a trovarmi i miei genitori e andammo in giro per ore a cercare un posto con una televisione da cui assistere a quello storico momento. Alla fine ne trovammo una in una specie di osteria sulla spiaggia… faceva un gran caldo, si soffocava ma eravamo accalcati tutti davanti a quella Tv in bianco e nero a guardare. Abbiamo visto questi uomini come noi che per la prima volta toccavano il suolo della Luna: la mia passione per lo Spazio forse nacque proprio lì. Da quel giorno, quando mi chiedevano cosa vuoi fare da grande rispondevo: “l’astronauta”. Non era niente più che un sogno da bambino, ovviamente...».

Poi però lo ha realizzato: quanto sono importanti i sogni?

«Domanda semplice e insieme complessa. Quando incontro gli studenti, chiudo sempre con una frase: “Ragazzi, dovete essere voi a prendere in mano il vostro futuro. E i vostri sogni devono essere impossibili, quelli possibili li sanno fare tutti. I sogni devono essere fondati sulle passioni, su cosa ti piace fare veramente: dovete svegliarvi, senza aspettare che qualcun altro pensi a realizzarli per voi”».

Come fare?

«Bisogna darsi da fare, metterci forza, coraggio, carattere, conoscenza. È importante avere un sogno e darsi da fare per realizzarlo: in fondo, in questa vita siamo solo di passaggio...».

E lei amava lo Spazio.

«Sin da piccolo mi piaceva la fantascienza, a fianco al Giornalino di Gian Burrasca leggevo Asimov e Clarke!».

Da astronauta ad astronauta, cosa pensa dei tre che fecero l’allunaggio?

«Li ho conosciuti tutti. Armstrong l’ho visto per la prima volta nel 1999, quando venne al centro di addestramento di Houston per incontrare quelli che come me sarebbero diventati astronauti. Collins 15 giorni fa era con me a una conferenza, Aldrin la settimana scorsa… Conoscerli è stato interessante ed emozionante. A parte Aldrin, che è una persona un po’ particolare, non pensano di aver fatto nulla di straordinario nella loro vita, ma di avere avuto la fortuna di essersi trovati nel posto giusto al momento giusto. È un po’ l’approccio che ho sempre avuto io: perché sai che alle tue spalle c’è sempre un team che fa un lavoro eccezionale, il merito non è solo tuo. Non è come per un atleta che va alle Olimpiadi a fare un record, ti trovi a raccogliere davvero il frutto di un lavoro di squadra».

Andare nello Spazio: ne valeva la pena?

«Come esseri umani siamo condannati a ricercare e a conoscere, ed è la nostra salvezza: non progrediremmo senza una ricerca continua e forsennata, ti cambia la vita. È un po’ come quando sento chiedere “perché lo hai fatto?” a chi scala l’Everest. Beh, la risposta è... perché quella montagna era lì. E lo stesso vale per lo Spazio: noi vogliamo andarci, abbiamo un bisogno di conoscenza incredibile. Certo, potremmo vivere senza esplorare lo Spazio. Essere stati lì, sulla Luna e nello Spazio, è stato un passo importante che ci ha permesso di conoscere di più il mondo e la nostra vita».

E adesso?

«C’è un universo intero da esplorare».