DARIO CRIPPA
Cronaca

Nel nome di Toto Currà Vent’anni fa il 19enne fu ucciso in Danimarca La lezione contro i razzisti

Papà Francesco commosse un Paese in fiamme incitando alla tolleranza. Due Comuni si uniscono alla famiglia per ricordare il sacrificio dello studente.

Nel nome di Toto Currà Vent’anni fa il 19enne fu ucciso in Danimarca La lezione contro i razzisti

di Dario Crippa

Vent’anni fa. È estate e Antonio “Toto” Currà, 19 anni, parte in treno per Capo Nord. Sono le sue vacanze, studia in un istituto tecnico di Monza, ma alla sera aiuta il papà nel suo forno. È un bravo ragazzo, quando finisce di lavorare all’alba va a portare qualche panino caldo a un barbone che dorme nel Parco. È pieno di speranze e buoni sentimenti. Scrive poesie: “A tutti i giovani cosmopoliti alla ricerca dell’amicizia nel mondo “La mia è una sorta di rincorsa è una risorsa che cerco da tempo in sto tempio in me stesso più ampio”. Compone canzoni rap, vorrebbe provare a fare l’università. Zaino in spalla, sale sul treno con gli occhi pieni di sogni, la sorella Rossana lo definirà il "fratellino giramondo". La sera dell’8 agosto arriva a Copenaghen e va a cercare un ostello. Non sa però che il quartiere che deve attraversare, Norrebro, è chiamato dagli stessi danesi “Norrebronx”: in un anno ci hanno accoltellato 155 persone. Ed è qui che incontra due ragazzini turchi, Hizir Kilic e suo cugino Fehrat, appena 17 e 16 anni, figli di immigrati. I due lo aggrediscono per rapinarlo. Gli sferrano una coltellata. Antonio riesce a liberarsi e comincia correre. Centocinquanta metri non bastano: la fuga finisce contro un cassonetto della spazzatura dove lo raggiungono altre sette coltellate, quattro alla schiena. Antonio, che in tasca aveva solo 20 euro, stramazza al suolo. Ricoverato al Rigshospitalet di Copenaghen, viene sottoposto a due operazioni chirurgiche. Non serve a nulla. La mattina del 10 agosto Antonio muore. La notizia fa subito il giro della Danimarca, la comunità danese è sconvolta, il razzismo esplode, ci sono cortei che marciano sotto lo striscione “Via i bastardi immigrati da Copenaghen”. Francesco Currà, il papà di Antonio, dà però una lezione a tutto il Paese sconvolto. Davanti al luogo in cui è appena stato ammazzato suo figlio, fa un lungo discorso, accorato, commovente. Davanti alle telecamere ricorda, in un inglese stentato, di quando anche lui era un immigrato e la gente lo teneva lontano. Papà Currà non perdona gli assassini di suo figlio, ma sa cos’è il razzismo e invita tutti alla tolleranza: "No al razzismo, fra i turchi ci sono tante brave persone, la colpa è individuale". Nelle ore successive, la polizia arresta i due assassini. I Currà, col loro camper, percorreranno i 1.433 chilometri che li separano da Villasanta a Copenaghen per assistere a tutte le udienze del processo. L’8 novembre del 2004 arriva la sentenza: Hizir e Fehrat vengono condannati rispettivamente a 10 e 8 anni di reclusione, una delle massime pene previste dal codice penale danese. In più, la Corte Suprema stabilisce, data la gravità del fatto, la loro espulsione dalla Danimarca: una decisione eclatante, anche perché i due ragazzi erano nati a Copenaghen. Viene anche approvata una legge che vieta di girare armati di coltello: la chiameranno legge Currà. Il Paese si interroga. Uno spettacolo teatrale ispirato alla vicenda, “Den danske tragedie” (“Una tragedia danese”), farà il giro di tutto il Paese. Nel 2007 l’ultimo capitolo. I due cugini turchi, dopo pochi anni di galera, sono stati già rilasciati ("le autorità non ebbero nemmeno il coraggio di dirmelo di persona" ricordava papà Francesco). Vengono rispediti in Turchia. Ma la partita evidentemente non è chiusa. Hizir aveva accoltellato Toto mentre Ferhat lo teneva fermo. Ma aver parlato al processo. E così Hizir, appena sbarcato in Turchia dove il cugino già si trovava grazie a uno sconto di pena, lo raggiunge e lo uccide con due colpi di pistola alla testa.