Monza: addio monsignore, ma per tutti era don Dino

Il ricordo di una figura carismatica per la città nel giorno dei funerali che saranno celebrati stamattina in Duomo

Monsignor Leopoldo Gariboldi è morto sabato all’età di 90 anni

Monsignor Leopoldo Gariboldi è morto sabato all’età di 90 anni

Monza, 13 gennaio 2020 - Le istituzioni di Monza saluteranno questa mattina alle 10,45 in Duomo monsignor Leopoldo Gariboldi, che diventò arciprete della città esattamente quarant’anni fa - 13 gennaio 1980 - e che si è spento sabato mattina all’ospedale San Gerardo, a quasi novant’anni. I monzesi, o almeno tanti monzesi, saluteranno invece don Dino: perché nessuno, fra coloro che lo hanno amato e che lui ha amato, lo ha mai chiamato monsignore. Per tutti, era don Dino.​ Lo conobbi una domenica sera di settembre 1981, nella chiesa di San Pietro Martire, nel luogo in cui lui si sentiva meglio, e in cui dava il meglio di sé: il confessionale. Vivevo un periodo tribolato, lui lo capì e mi invitò ad andarlo a trovare, qualche sera dopo, a casa sua. Da allora, ogni volta che ho vissuto un periodo tribolato (cioè quasi sempre) sapevo che c’era lui: don Dino. E così - so per certo - è stato per tanti, tantissimi monzesi. Per le istituzioni, e per i giornali che oggi parleranno di lui, era appunto monsignor Gariboldi: l’uomo incaricato di gestire la Chiesa di Monza, con annessi e connessi, compresa la difficile quadratura dei conti economici, fra spese, restauri, investimenti. Tutte cose che lo preoccupavano, e che gli hanno assorbito tanto tempo e tanta energia.

Ma per chiunque avesse bisogno di un consiglio, di un conforto, di una bussola, don Dino c’era sempre. Non so quanti oggi parlano di lui lo sappiano, ma è così. La sua caratteristica principale è stata questa: di esserci sempre. Per tutti coloro che lo cercavano. Era quello che dovrebbe essere un prete: un pastore che si prende cura delle pecore che gli sono affidate, ma non in gregge, bensì ad una ad una. Il torto più grande che gli si possa fare oggi è di dipingerlo come un santino. Un santo io credo lo sia stato. Ma un santino, cioè un perfettino dal collo storto, no. Don Dino aveva un suo carattere, e che carattere: non sempre, per chi ha avuto a che fare con lui, è stato facile. Aveva anche le sue fragilità, i suoi momenti di delusione, sconforto, rabbia. Era, semplicemente, un uomo: con tutti i limiti che ne derivano. Ma consapevole di esserlo, un uomo limitato: e questa era la sua grandezza, perché non pretendeva, da nessuno, una perfezione che non c’è e non può esserci, ben sapendo che la condizione umana è una povera condizione. È la drammatica condizione di chi sa di essere solo un puntino nell’universo e nella storia: e un puntino pieno di dubbi, un puntino che non resta, che passa via veloce dalla scena del mondo. Per questo, chi ha conosciuto veramente don Dino sa che era come dovrebbe essere un prete saggio e realista: inflessibile dal pulpito (perché sui principi non si transige) ma misericordioso in confessionale (perché la carne è debole, e noi siamo povera carne).

L’ho visto l’ultima volta sette giorni fa, lunedì mattina, in ospedale. Mi ha detto: "Ringrazio il buon Dio perché la voce è un disastro, ma la testa è lucida". E lucido, lucidissimo, lo è stato fino a quando è entrato in coma, poche ore dopo. Mi hanno detto che, prima di assopirsi, ha chiesto gli fosse letto l’"addio monti" di Lucia, uno dei passi più amati del libro che più amava, i Promessi Sposi. Ha voluto quel brano perché annuncia un viaggio di cui non si conosce la meta. E così è: quando si dice che chi muore vola in cielo, si recita uno slogan consolatorio in cui in realtà non crede nessuno, perché la realtà percepita da tutti noi è che non sappiamo dove andremo, e non sappiamo neanche se la vita ha davvero un senso. Ma una cosa credo, anzi so: don Dino è morto con fede, con fede in quello a cui ha dedicato tutta la vita. Non sapeva dove andava, ma sapeva con chi andava. È anche pensando a lui che ho voluto chiamare la mia ultima figlia Lucia. E da oggi sono molto più solo, come i tanti monzesi per cui monsignor Gariboldi era, semplicemente, don Dino.