Cesano Maderno, Mercatone Uno: chiuso l’accordo con Max Factory

Il punto vendita passa di mano: 30 lavoratori saranno assunti dalla nuova propri età, gli altri 12 avranno la prelazione

Mercatone Uno, crisi cominciata nel 2015

Mercatone Uno, crisi cominciata nel 2015

Monza, 7 ottobre 2020 - Il Mercatone Uno parla cinese. Chiuso l’accordo con Max Factory il punto vendita di Cesano passa di mano, 30 lavoratori verranno assunti dalla nuova proprietà e gli altri 12, in cassa integrazione, restano in attesa di un ampliamento d’organico: avranno diritto di precedenza sugli esterni per 18 mesi nel perimetro dell’operazione. Sono le condizioni che i sindacati hanno strappato per il passaggio in blocco di quattro negozi, ci sono anche Pavia, Gravellona Toce (Piemonte) e Rubiera (Emilia). "Novantadue famiglie in tutto tornano ad avere un futuro davanti, dopo tanti guai. L’alternativa era zero", spiega Matteo Moretti, segretario della Filmcams-Cgil Brianza, in prima linea sulla vertenza.

All’accordo con il colosso degli oggetti per la casa si è arrivati partendo da una trattativa tutta in salita. Gli acquirenti volevano assorbire il 60% della forza lavoro e scegliere senza tenere conto dei criteri classici sanciti dalle norme, "come, invece, alla fine, è stato", spiega il segretario. Per arrivare all’elenco si è tenuto conto dell’anzianità aziendale e dei carichi familiari. Non solo, "se si aprissero spiragli per nuove assunzioni bisognerebbe pescare da chi è rimasto fuori (con gli stessi paletti)". Condizioni valide anche per il subentro di altre attività nel capannone "eventuali affittuari dovrebbero rispettare lo stesso vincolo (per il 50% del personale)", o per l’ampliamento della licenza "una prospettiva sulla quale abbiamo aperto un confronto con il Comune", conferma Moretti. Scontata la vigilanza sul rispetto dell’intesa "tutta da costruire, ma non cederemo terreno su questo fronte".

Per una manciata di famiglie brianzole finisce così un incubo cominciato nel 2015 e culminato con il fallimento del panzer del mobile low-cost, un anno e mezzo fa. Erano in tutto 55 gli esercizi coinvolti dal buco di Shernon Holding srl, la società che aveva rilevato i negozi del vecchio sponsor di Marco Pantani e che ha portato i libri in tribunale in 9 mesi dopo avere accumulato 90 milioni di euro di debiti. Poi, il crac, certificato dal Tribunale di Milano. A rimetterci anche l’indotto, 500 aziende che vantano crediti per 250 milioni, con 10mila addetti. Lo spezzatino, la cessione parziale di store a compratori giudicati credibili dai commissari, sta restituendo una chance a chi è rimasto impigliato nella vicenda. Il marchio era sbarcato sul territorio negli anni Novanta con il vento in poppa diventando punto di riferimento per migliaia di clienti, ma è finito nelle secche della crisi. Adesso, un’altra prospettiva, all’ombra del Dragone.