di Dario Crippa Grecia. Più o meno tremila anni fa. Medea, tradita da Giasone, si vendica sui due figli avuti da una relazione con lui per il quale aveva rovinato la sua stessa famiglia e si era macchiata di atroci delitti. Il Mito greco narra così quello che è un archetipo nella storia umana. Madri che uccidono i propri figli. Uno scenario tragico destinato a ripetersi nella storia molte altre volte, purtroppo. A tutte le latitudini e in tutte le epoche. Anche in Brianza, più di mezzo secolo fa, le cronache si trovarono a raccontare una tragedia simile. È il 1971, la notte fra il 27 e il 29 maggio. In un paese porte di Monza, la signora G., in un impeto di rancore e gelosia, decide di uccidere i due figli, una bimba di quattro anni e mezzo e il fratellino di appena un anno. Lo fa appiccando il fuoco nella loro misera abitazione per sterminare i figli avuti dal marito, vero obiettivo della sua furia omicida. Al Tribunale di Monza, il caso viene ricostruito passo dopo passo al termine di udienze sconvolgenti e dagli sviluppi sorprendenti. Il giudice istruttore di Monza, Cesare Di Nunzio, che anni dopo diventerà presidente del Tribunale, a un certo punto fa notificare infatti a sorpresa un avviso di indagine allo stesso marito dell’infanticida. L’accusa è di maltrattamenti di natura morale e psicologica nei confronti della moglie. Secondo il magistrato è stato il marito con la sua indifferenza e il suo atteggiamento cinico e crudele a far scattare la molla della follia nella testa della donna. "Una pazzia momentanea", stabilisce infatti una perizia psichiatrica. In articolare, emerge al processo che l’uomo umiliava continuamente la donna, costringendola ad adattarsi al fatto che il marito avesse un’amante da cui si recava abitualmente sotto i suoi stessi occhi. L’accusa formulata a suo carico è ...
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