"Mandante? No, incastrato"

La difesa di Gambino, accusato di aver pagato i due baby killer per uccidere il pusher rivale

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di Stefania Totaro

Le voci a San Rocco sul presunto mandante dell’omicidio del pusher ad opera dei baby killer messe in giro appositamente da persone vicine a Giovanni Gambino per liberarsi di lui facendolo finire in carcere. È un’altra delle ipotesi che fa capolino nell’intricato giallo sull’assassinio di Christian Sebastiano, il pusher 42enne raggiunto il 30 novembre scorso sotto casa da oltre 30 coltellate inferte da un14enne insieme a un 15enne, fermati dai carabinieri che, a cinque mesi di distanza, hanno identificato come ideatore del delitto il 43enne dello stesso quartiere, accusato di avere promesso 2mila euro al 14enne per armarlo contro la vittima. Un castello accusatorio respinto da Giovanni Gambino. Il suo difensore, l’avvocata Anna Zottoli, ha presentato un ricorso al Tribunale del Riesame di Milano per l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare chiesta dalla pm Sara Mantovani e firmata dalla gip Cristina Di Censo. Per il 7 maggio è fissata l’udienza davanti ai giudici della libertà.

"Lui non ha pagato minorenni per uccidere Christian Sebastiano. Sono solo voci di quartiere, riferite per sentito dire tra ragazzini", sostiene la legale, che mira a veder cancellare l’accusa di concorso in omicidio volontario e rapina aggravaticontestati a Gambino in quanto "concorrente morale, mandante, agevolatore, istigatore e rafforzatore" del proposito omicida. Un’ipotesi di accusa che parte dalla testimonianza di una mamma del quartiere, che si è presentata dai carabinieri tre giorni dopo l’assassinio dicendo che i figli avevano saputo da un loro amico che il 14enne arrestato era stato contattato da Gambino per commettere l’omicidio in cambio di 2mila euro e che tra Giovanni Gambino e Christian Sebastiano c’era stata una pesante lite per la cognata di Gambino. Partendo da questa segnalazione i carabinieri avrebbero raccolto ulteriori elementi contro il presunto mandante convocando in caserma e in Procura diverse famiglie del quartiere per ricostruire i giri dello spaccio di droga. La richiesta di custodia cautelare in carcere è stata invece motivata con il pericolo che Giovanni Gambino possa "inquinare le prove" del suo coinvolgimento e che possa "reiterare il reato" ossia commettere altri fatti analoghi. Circostanze assolutamente senza fondamento, secondo la difesa del 43enne, considerato che gli inquirenti hanno avuto cinque mesi di tempo per chiudere il cerchio sulle indagini e che Gambino si dichiara estraneo all’omicidio.