Limbiate, 21 febbraio 2023 - Era il 22 febbraio 2021 quando a Kibumba, Nord di Goma, in Congo, sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco il 43enne ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo. “Le verità nascoste del delitto Attanasio” è il titolo del libro-inchiesta scritto dalla giornalista Antonella Napoli, da anni impegnata su vari fronti in Africa e amica personale del diplomatico. L’autrice sarà a Limbiate domani, in occasione delle celebrazioni, con un passaggio alla Libreria Mondadori in mattinata. Come e dove ha conosciuto Luca Attanasio? "Nel 2004 Luca muoveva i suoi primi passi alla Farnesina e ho avuto modo di conoscerlo e confrontarmi con lui scoprendo il suo interesse e il suo desiderio di lavorare per l’Africa. Ci siamo sentiti diverse volte e incontrati in occasione del processo di pace per il Darfur ad Abuja e poi durante un mio lavoro d’inchiesta sui bambini-soldato nella regione dei Grandi Laghi". Che ricordo ha di lui? "Un uomo molto appassionato del suo lavoro, dell’Africa ed in particolare dei bambini. Viveva con il desiderio di aiutare i bambini africani. Anche per questo, insieme alla moglie ha fondato l’associazione Mama Sofia a cui teneva moltissimo". Da cosa nasce il progetto di questo libro d’inchiesta? "Subito dopo il delitto, ho sentito un impegno che andava oltre il giornalismo, l’esigenza di fare di più, di cercare giustizia per Luca, Vittorio e Mustapha e per questo insieme ad Articolo 21, Festival dei diritti umani e Focus on Africa, che è la rivista che dirigo, ho iniziato ad approfondire gli atti delle inchieste aperte in Congo e a Roma". Quanto crede che siamo vicini alla verità? "L’inchiesta di Roma è stata condotta in maniera esemplare dal procuratore Sergio Colaiocco con un’istruttoria straordinaria grazie al contributo encomiabile dei carabinieri. Purtroppo rischia di essere vanificata dalla richiesta di immunità che molto probabilmente verrà avanzata dagli imputati, funzionari Onu, dirigenti del Pam, l’italiano Rocco Leone e il congolese Mansour Rwagaza. Quanto all’inchiesta congolese, di cui ho seguito sul posto anche il processo, condotto nel cortile di un carcere militare, temo che ci sia una sentenza già scritta nei confronti del 6 accusati, uno dei quali peraltro in fuga". Cosa non torna? "Ci sono molti aspetti che non sono stati chiariti, ci sono le testimonianze degli abitanti del villaggio in cui è avvenuto il delitto che riferiscono di avere visto gli accusati già presenti dal giorno prima, smentendo così l’ipotesi dell’assalto estemporaneo, per rapina, come si era voluto far credere in un primo momento. C’è il coinvolgimento di alcuni militari, in un Paese in cui è difficile avere certezze". Recentemente è tornata in Congo al seguito di Papa Francesco, che ha definito le tre vittime dell’agguato "seminatori di speranza», auspicando che il loro sacrificio non vada perduto. È un segnale forte. "Dal Papa c’è stata la chiamata agli africani a essere protagonisti del loro futuro e agli europei a uscire dalla cultura della fortezza assediata. Un messaggio forte che forse non è stato colto come avrebbe meritato o forse è stato volutamente ignorato".