"La mia maratona contro il muro del suono"

Laurea in tasca, runner e musicista, dopo la malattia che l’ha reso sordo Marco Frattini è riuscito a tornare a comporre grazie alle vibrazioni

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di Marco Galvani

Una laurea in odontoiatria in tasca. Un passato da "bravo fonico e buon chitarrista". Poi la malattia che ti stravolge vita e passioni. Dal 2006 Marco Frattini, 45 anni di Meda, è costretto a vivere nel silenzio per colpa di una ipoacusia bilaterale profonda. Lui che "la musica è stata per tanto tempo una sorta di riflesso condizionato".

Il primo riflesso, la prima reazione è stata sfogarsi nella corsa: tre volte campione italiano di maratona e di cross tra il 2009 e il 2011 per la Federazione sport sordi Italia, quattro mondiali di categoria per medici e odontoiatri, il patentino da istruttore Fidal, la creazione dell’app “ciaoRunner“ e del brand “Iovedodicorsa“ di prodotti tecnici per il mondo dello sport. Poi, però, ha realizzato che "non sentivo la melodia, ma percepivo le vibrazioni". Nella sua mente è riuscito a risvegliare i suoni e ad accendere un nuovo capitolo della sua vita componendo il suo primo singolo – Corro come il vento – dedicato (anche con ironia) al mondo del running.

Materiali della musica sono il suono e il silenzio. Integrarli significa comporre: nelle parole di John Cage puoi leggere più che l’importanza di ascoltare quella di sentire le vibrazioni. Lei come vive la musica?

"John Cage ha sintetizzato in maniera estrema quello che è il processo compositivo, che poi è un modello che potremmo ricondurre a tutte le arti. Allo stesso modo si potrebbe dire che materiali della pittura sono i colori e le ombre. La musica, i suoni, i silenzi e rumori, più che viverli, ti vivono loro. Sta poi a noi, in maniera più o meno consapevole, decidere che valore dare a tutto ciò che percepiamo con il senso dell’udito. Anche se non sento più da oltre 15 anni, le emozioni che si generano attraverso il ricordo di canzoni e suoni o attraverso vibrazioni sono sempre ancora molto forti".

Come è stato il suo primo incontro con la musica?

"Ricordo un nastro dove mia madre cantava e io, ancora in fasce, che emettevo lamenti, singhiozzi, urli e quant’altro".

Cosa è successo quando la sua vita è cambiata?

"Come prima reazione ho appeso la chitarra al chiodo. Parallelamente mi sono concentrato, in maniera istintiva, sui lunghi silenzi che si generavano durante gli allenamenti di corsa in preparazione delle mie maratone".

Cosa l’ha aiutata a reagire?

"La fortuna di essere in grado di farlo. Oltre la musica ci sono il lavoro e la corsa, è tutto una grande nebulosa: quel famigerato Cloud che mi ha richiesto tempo per essere concettualmente chiarito in termini informatici, è più semplice da comprendere se lo incastono alla mia vita. Ho un bagaglio, o una zavorra, che porto con me da sempre. Se da un lato faccio spesso fatica ad accettare le cose, dall’altro mi sembra che ci sia una linearità e un senso che gestisce il mio destino".

Qual è il ritmo che preferisce? Nella corsa, nella musica e nella vita.

"Lento, veloce... corro come il vento! In realtà è la costanza del ritmo che permette di raggiungere risultati. La vita è ben rappresentata dalla maratona. Bisogna allenarsi per lunghi periodi, alternando ritmi lenti e ritmi veloci, imparando ad adattarsi alle situazioni, ai tracciati, per capire quale sia il ritmo e il passo del nostro procedere in gara. Comunque sono le lunghe progressioni, con volata sul finale, le corse che mi hanno dato maggior soddisfazione".

Quali sono le sue prospettive?

"Sopravvivere a questo periodo cercando di non perdere il senso delle cose, augurandomi di mantenere la lucidità che vedo essere messa costantemente alla prova. Più che una prospettiva, ho bisogno di rinnovata e costante serenità e pace".