"La mia arte nella città dove sono nata e cresciuta"

Daniela Benedini esperta di livello mondiale nella tecnica del Trompe l’Oeil e curatrice dei lavori alla fontana di Desio parla del suo impegno come di una medicina

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di Alessandro Crisafulli

L’arte come emozione, anzitutto. Lo si capisce dalle sue parole, laddove ogni tre, inserisce quel termine che le sta tanto a cuore. L’arte, anche, come medicina anti-degrado. Per fare rinascere luoghi smarriti o abbandonati, centrali o periferici. L’arte, quindi, un po’ anche come speranza, soprattutto in questo momento storico. Daniela Benedini (foto) è un’artista di livello mondiale. Che in questi anni di brillante carriera ha lavorato in ogni angolo del pianeta – decorando ville, dimore, ambienti in Russia, Cina, Kuwait, Francia, Oman, Egitto, Perù – ma che nella città dove è nata e vive non ha mai "messo mano". E non è nemmeno così conosciuta, come meriterebbe. Ma, adesso, la storia è pronta a svoltare, perchè le è stato assegnato il progetto della riqualificazione della ex fontana accanto al campanile della basilica. E tutti i desiani potranno rimanere a bocca aperta, davanti al suo genio artistico. "Durante il primo lockdown ero bloccata nella mia casa di Parigi – racconta Daniela, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera, con uno studio sulla storia del Trompe l’Oeil, la sua specialità – sarei dovuta partire per il Kuwait e la Cina dove sto finendo di decorare due ville. Allora ho iniziato a pensare come avrei potuto esprimere le mie idee nella città dove sono nata e cresciuta, in strutture pubbliche o private. Ho iniziato a mandare dei disegni a degli amici e poi mi hanno messo in contatto con la Giunta, che mi ha chiesto un progetto per l’ex fontana".

Il tema dell’opera, attraverso la raffigurazione dei contorni di un volto femminile vuole essere un omaggio all’intreccio dei molteplici fili che costituiscono la trama di un individuo e della sua comunità di appartenenza, "con un riferimento simbolico alla realtà produttiva del territorio desiano dei primi del Novecento – è spiegato nel progetto - caratterizzata dalla significativa presenza delle industrie tessili Tilane, Gavazzi e Trezzi, nelle quali si filavano la lana e la seta e dove migliaia di donne hanno trovato impiego e costruito il futuro delle proprie famiglie".

L’arte come antidoto al degrado, dunque: "Con la scelta di non abbattere ma di trasformare – spiega Daniela, che di recente è stata protagonista con delle sue opere anche a Versailles -, non demolire, creare del vuoto, ma plasmare un nuovo senso, nuove vesti, nuove emozioni". Come avrebbe voluto fare anche su un grande muro degli storici edifici nel borgo di San Giuseppe, "dove avrei voluto donare alla città un’opera per trasformare quel posto dove spesso passeggio da malinconico a sognante, con la raffigurazione, attraverso una tecnica degli anni ‘50, di due amanti in un pagliaio: in una notte avremmo fatto tutto, ma prima va messo in sicurezza". Se il lockdown ha paralizzato i lavori all’estero, non ha fermato la sua vena creativa. Anzi. È riuscita a tirare fuori il meglio, dalla situazione emergenziale: "Per me il lockdown è stata una benedizione – dice, relativamente alla propria attività – e spero anche per altri artisti. Dopo i primi giorni di choc, ho avuto il tempo di fare ginnastica, che ne avevo bisogno, e soprattutto di studiare tutte le tecniche che avevo desiderio di approfondire. Ho avuto spazio e tempo per produrre tante idee, che ho digitalizzato, sperando di poterle concretizzare".

Ha dato quindi ulteriore benzina, al fuoco della sua vena artistica. "Adesso ho potuto riprendere a lavorare, in sicurezza, e sto decorando alcune ville in Brianza, oltre che una chiesa a Giussano". Che siano dall’altra parte del mondo o sotto casa, sempre emozioni sono.