DARIO CRIPPA
Cronaca

Con l’Hijab e il sorriso: il primo volo in bicicletta di 8 donne musulmane, verso libertà e dignità

Grazie a un progetto ideato da Arcodonna e Comunità islamica una dozzina di donne di origine araba ha preso lezioni in oratorio. L’egiziana Titti, organizzatrice: “Significa autonomia e indipendenza”

Una dozzina le donne che hanno preso parte al corso promosso fra gli altri da Monza in Bici, Cascina Cantalupo, Arcodonna e Centro Islamico

Una dozzina le donne che hanno preso parte al corso promosso fra gli altri da Monza in Bici, Cascina Cantalupo, Arcodonna e Centro Islamico

MONZA – Shaimaa, il volto appena incorniciato dall’Hijab, sorride. “Questa sera ai miei bambini porterò il video, gli farò vedere che la mamma ha imparato ad andare in bicicletta”. Sorride spesso Shaimaa. Egiziana, a Vimercate vive da ormai 16 anni, si è ben integrata, mastica abbastanza bene la lingua italiana, anche se ogni tanto ha dovuto avere a che fare con un po’ di quella diffidenza strisciante che si può incontrare nei paesi, eppure non è tipo da darsi per vinta. E inforcare quella bicicletta per lei è stata una grande conquista. “Per me è stata una sfida. Ho la patente, ma in Egitto una bambina la bicicletta non impara a usarla. E invece adesso ce l’ho fatta”.

Non è cosa da poco per Shaimaa e le altre, 8 donne, storie diverse, originarie per lko più di Pakistan, Egitto, Marocco, Tunisia, tutte accomunate dalla fede islamica e dall’essersi trovate in un Paese lontano e diverso, e che ora si sono incontrate per condividere un progetto speciale, lanciato qualche anno fa da un manipolo di realtà apparentemente diverse come Arcodonna, associazione di promozione sociale che si occupa di donne e pari opportunità, Monza In Bici, Cascina Cantalupo e la Comunità islamica di Monza e Brianza. Diverse, ma con obiettivi comuni.

Insegnare anche alle donne musulmane a utilizzare una bicicletta. Otto donne sempre, a volte anche una dozzina, età fra i 25 e i 40 anni, “ma ce n’è anche una di 50 con quattro figli”, racconta Titti, al secolo Tahany Shahin, egiziana, vicedirettrice della Comunità Islamica brianzola, instancabile anima di tutte le iniziative possibili per aiutare le “sue” donne. A integrarsi. Dopo sei lezioni e i pazienti consigli di un gruppo di volontari all’oratorio Frassati di Cederna, ce l’hanno fatta.

Ora sfrecciano con i loro Chador, chi con l’Hijab, chi il volto interamente coperto dal Niqab. Ognuna con le sue tradizioni, ma gli occhi di tutte sorridono, specie quando la più spericolata dalla classe centra un paletto e capitombola. “La bicicletta è autonomia e indipendenza” ripete Titti.

Nessuna lavora, anche se qualcuna ci sta pensando seriamente, “ma andare a fare la spesa o poter uscire con i miei figli sarà bellissimo” racconta ancora Shaimaa - Faccio tutti i corsi possibili, mi piace imparare cose nuove. Mio marito mi incoraggia, lui fa l’elettricista ed è in Italia da più tempo, anche se di macchine a casa ce n’è una sola e gli serve per andare al lavoro”.

L’altro giorno, per festeggiare la fine del corso, hanno portato falafel e dolcetti, Shaimaa ha condiviso i suoi Kaak, dolcetti di farina, burro, zucchero a velo, sesamo e marmellata. Danzano con la bici fra un cono e, quando ne c’entrano qualcuno, l’altro e le risate valgono il prezzo di una sbucciatura. “La prima cosa da imparare è salire in bici, senza pedali. E capire come muoversi con i nostri abiti lunghi senza farci male o strapparli”, si confidano. Poi ci sono le nozioni minime di educazione stradale, perché le strade possono essere insidiose, non sono tutte piatte e trovare un equilibrio in mezzo a un mondo che ti guarda storto può rivelarsi ancora più difficile.

Però. “Però i miei tre figli – due femmine, una fa l’alberghiero e l’altra farà Lingue – e un maschietto di 4 anni, saranno orgogliosi” si lustra gli occhi Shaimaa. “Queste donne hanno voglia di uscire e mettersi in gioco - assicura Titti -, a volte anche i loro medici consigliano di usare la bici per tenersi in forma”.

Laura Morasso, in pensione dopo una vita come docente e referente per il Centro Territoriale Permanente per l’educazione degli adulti, è fiera del lavoro fatto. Con la sua Arco Donna, di cui è fondatrice e presidente, spende tutte le sue energie per aiutare le donne a emanciparsi e lottare contro razzismo e stereotipi: “Siamo ripagati dal loro entusiasmo”.

“Sono felice” saluta Shaimaa. Un nome che si pensa derivi dalla parola araba “shams”, che significa “sole” o “raggi di sole”.