Io, Francesca, sommelier del tè "È un atto di amore verso se stessi"

I grandi marchi del lusso si contendono le sue ricette segrete. "E adesso mi dedico alla spiritualità..."

di Marco Galvani

"Cosa è per me il tè? Un atto d’amore verso se stessi. E verso gli ospiti. Puro piacere. Un momento di estasi in cui la nostra connessione con l’universo diventa fluida. Diventi la primavera dei giardini di BiLuoChun, la nebbia fitta di FengHuang DanCong, l’acqua che bolle, la ceramica della teiera, il profumo inebriante di bosco del Pu-erh". Francesca Natali ricorda l’abitudine di "bere il tè inglese mentre si studiava il pomeriggio" e quel sogno di aprire un negozio specializzato dove rielaborare una tradizione millenaria attraverso le sue esperienze di vita. Il primo negozio, a Milano, "era più un gioco, ma i clienti all’inizio pensavano vendessi mobili, in realtà nei barattolini esposti c’erano le foglie di tè. Poi ho capito che i veri intenditori sono gli uomini, che lo studiano e lo degustano".

Poi è stato un successo. La Rinascente che le chiede di aprire un corner al settimo piano, la collaborazione con hotel di lusso (Ferragamo, Bulgari, Henri Chenot, Baglioni, Orient Express, Town House, Monte-Carlo SBM) e chef stellati (Alajmo, Leemann, Berton, Oldani, Scabin), la creazione di menu esclusivi del tè per marchi di alta moda e per Trussardi ha preparato una speciale miscela di tisane ispirate al loro profumo. Finché la vita non le ha suggerito di prendersi una pausa. Ha venduto i suoi negozi, è diventata nutrizionista, insegnante di yoga e ora, "dopo una manciata di anni trascorsi ad abbracciare alberi cercando l’equilibrio, sono tornata a produrre una piccola linea di tè, ma senza grandi scopi commerciali". Puntando più sulla cerimonia del tè che "racchiude migliaia di leggende. Due in particolare, una indiana l’altra cinese. Anche se i cinesi sono stati i primi a capire in quella pianta c’erano tre aspetti: sociale, spirituale e gustativo".

Ma in realtà è il Giappone a portare alla massima espressione questo rito non tanto sulla cultura del tè (rendendo il tè polvere, cioè matcha, tolgono l’attenzione alla foglia), bensì più sull’aspetto medicale e meditativo. "Il tè è entrato sempre in maniera gentile in tutte le culture, ma ognuna ha saputo prenderlo facendone la propria tradizione. Ogni tè ha la sua teiera, ogni foglia ha la sua temperatura di acqua. E poi ci sono le ricette - spiega la sommelier del tè -: c’è chi lo usa per cucinare, ad esempio l’anatra con il tè affumicato, e chi lo abbina al cibo, ad esempio mangiando una pizza con il tè giapponese quchitcha". Francesca ha elaborato un risotto cotto nel Pu-erh con porcini e scorza d’arancia, ha usato il tè nei cocktail, "tra gli alcolici, la vodka è la più facile da abbinare e può essere infusa con qualsiasi tipo di tè. Il gin, per il suo gusto delicato e pulito, si sposa bene con i tè verdi e Oolong (noto anche come tè blu) mentre le acquaviti, gli amari e i vini liquorosi preferiscono i sapori aggressivi del tè nero".

Cuoce il pesce a vapore anche usando le foglie di tè al gelsomino: "Sono esperimenti divertenti, un modo un po’ meno rituale perché la cerimonia del tè è un’altra cosa. E’ un momento tra me, te e il tempo presente".