Inchiesta protesi al ginocchio, richiesta di rinvio a giudizio per due chirurghi

L’udienza preliminare davanti al giudice del Tribunale di Monza Gianluca Tenchio è stata fissata al prossimo 6 aprile

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Monza  - Dopo l’accusa di corruzione per le protesi al ginocchio Ceraver, arriva anche quella di lesioni personali gravi ai pazienti per i due chirurghi ortopedici che erano in servizio al Policlinico di Monza. Ma per alcuni fatti più datati incombe il rischio della prescrizione. La procuratrice aggiunta monzese Manuela Massenz ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Marco Valadè e Fabio Bestetti, per cui è stata fissata per il 6 aprile l’udienza preliminare da vanti al giudice del Tribunale di Monza Gianluca Tenchio.

I due hanno patteggiato insieme al responsabile commerciale in Italia dell’azienda francese delle protesi Ceraver Denis Panico e alla stessa società per il primo filone dell’inchiesta, per cui restano alla sbarra il chirurgo ortopedico Claudio Manzini, luminare nei traumi al ginocchio, in servizio agli Istituti clinici Zucchi, tre dirigenti francesi della Ceraver e il responsabile commerciale per la Lombardia Marco Camnasio.

Secondo le indagini della Guardia di Finanza di Milano Panico e Camnasio, con il placet dei tre dirigenti francesi, sarebbero stati i promotori e organizzatori dell’associazione per reclutare medici disposti a scegliere le loro protesi, offrendo come corrispettivo denaro e altre utilità. Valadè e Bestetti si sarebbero attivati per utilizzare le protesi e per contribuire alla ricerca di medici di base disponibili a reclutare pazienti. Ora al primo vengono contestati ben 76 interventi chirurgici sospetti, risalenti ad un periodo tra il 2014 e il 2017, al secondo 15 casi tra il 2014 e il 2015, anno in cui Bestetti ha lasciato il Policlinico di Monza per un’altra struttura sanitaria.

Per muovere le accuse la Procura di Monza, oltre alle intercettazioni, ha fatto visionare ad un consulente tecnico una ad una le cartelle cliniche dei pazienti a cui è stata impiantata una protesi Ceraver per identificare quelli a cui, secondo il capo di imputazione, "rappresentando la necessità di un intervento chirurgico di artroplastica di ginocchio pur consapevole dell’insussistenza dei presupposti per tale indicazione, in assenza di valido consenso espresso dal paziente in quanto carpito dallo specialista mediante informazioni scorrette" sono state provocate lesioni "consistite nella incisione chirurgica in anestesia totale e nell’asportazione di parte dell’articolazione, da cui derivava un’inabilità di oltre 40 giorni e l’indebolimento permanente dell’organo della deambulazione conseguente all’impianto di una protesi". Un’accusa aggravata dall’avere commesso il fatto "per conseguire il prezzo della corruzione". Dal canto loro i medici sostengono di avere agito solo per il bene dei pazienti. S.T.