Il giallo del gioielliere e l’avvocato volante

Uno spettacolare salto fra due palazzi a dieci metri di altezza consentì di far assolvere il figlio accusato di aver ucciso il papà

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di Dario Crippa

Domenica delle Palme, 9 aprile 1974. Il signor Attilio, 84 anni, è un uomo vecchio stampo e si alza presto, alle 8, per andare a messa. Il Duomo dista appena poche decine di metri da casa sua. E dal suo negozio. In città tutti lo conoscono. La sua è la gioielleria più antica di Monza, in via Italia c’è tutto il suo mondo. Casa e bottega. Al primo piano l’abitazione, una scala a chiocciola conduce sotto al negozio con i gioielli. Se la passa bene Attilio, la sua vita è tranquilla. La figlia maggiore vive poco distante, il figlio minore, 29 anni, sta ancora con lui.

Ma quella mattina ha in serbo qualcosa di terribile. Si scoprirà verso le 9.30, quando dalla finestra del suo appartamento si affaccia un ragazzo sconvolto: urla, “aiuto, aiuto!”, ha le braccia legate, è pieno di sangue.

Una pasticciera che ha il negozio proprio di fronte dà immediatamente l’allarme, in centro piombano le macchine di carabinieri e polizia, le ambulanze. La scena a cui si trovano di fronte quando salgono al primo piano è terribile. C’è sangue dappertutto, i mobili sono scaraventati a terra. E sul pavimento c’è un uomo in fin di vita: è il signor Attilio. Morirà di lì a poco. Il ragazzo che chiedeva aiuto è suo figlio. "Sono stati i banditi" racconta, "entrati per svaligiare il negozio". Evidentemente sapevano che il signor Attilio sarebbe stato a messa. Non si aspettavano però di trovare suo figlio. Per questo lo avrebbero aggredito, legato e imbavagliato, perdendo minuti preziosi. E, sorpresi dal rientro del padre, si sarebbero scagliati contro di lui. Colpendolo con un oggetto contundente, mai ritrovato. Forse – diranno le cronache – una bottiglia di vetro, di quelle raffiguranti la Madonna con dentro l’acqua di Lourdes. E poi strangolandolo.

È un giallo, però. Dai cassetti è stato portato via poco o nulla, la cassaforte è chiusa ermeticamente. Perché? Dopo aver insentito più volte il figlio del signor Attilio, all’ospedale, il magistrato si convince di uno scenario inquietante. Il racconto del ragazzo sembra lacunoso e pieno di contraddizioni. Non ci sono segni evidenti di presenze estranee nell’abitazione. In più c’è la testimonianza di una vicina. Abita proprio nel palazzo di fronte e dalla finestra, dove dice di essere rimasta a lungo, non ha visto entrare o uscire nessuno. E quindi? E quindi l’assassino non può che essere il figlio della vittima, conclude il magistrato. Che dopo otto mesi spicca il mandato di arresto nei suoi confronti per omicidio volontario aggravato e simulazione di rapina.

La città è ancora sconvolta, ai funerali in Duomo avevano partecipato centinaia di persone, in prima fila anche il sindaco. Il processo è fortemente indiziario, però. Non ci sono prove, solo congetture. E soprattutto c’è un giovane avvocato, molto battagliero, a difendere quel ragazzo. Si chiama Raffaele Della Valle. Non lo conosce ancora bene nessuno, ma sarebbe diventato celebre. Fa notare immediatamente che la confusione del ragazzo può avere altre spiegazioni. Soffre, referti medici alla mano, di un problema che provoca vuoti di memoria. E poi era comprensibilmente sotto choc. È un ragazzo fragile, soprattutto. Non aveva moventi, mai segnali di insofferenza nei confronti del padre. La sorella lo difende. Il processo davanti alla Corte d’Assise di Milano si presenta come molto difficile. Della Valle demolisce punto per punto il castello accusatorio, ma potrebbe non bastare. Ha un asso nella manica, però: nessuno è entrato o uscito dal portone delle gioielleria? Non è detto. Della Valle studia la scena e scopre che un sistema esiste. Entrando nel palazzo dall’ingresso posteriore e salendo al piano superiore, si raggiunge un ballatoio. Da lì, basta un salto per raggiungere l’edificio del delitto. Bisogna solo dimostrarlo. Della Valle convince la Corte d’Assise a venire a Monza, sul luogo del delitto. "Li ho fatti venire qui - racconta oggi con orgoglio - occorreva qualcuno che facesse quel salto (a una decina di metri di altezza, ndr), e il presidente della Corte propose di affidarsi a un poliziotto. Ma non potevo essere certo che avrebbe avuto l’adrenalina necessaria... io invece all’epoca ero molto sportivo, facevo paracadutismo. E chiesi di farlo io". Non è semplice, la Giustizia in Italia è ancorata a vecchi schemi. Ma alla fine il presidente capitola. "La giuria si mise davanti al palazzo. Io entrai da dietro col pubblico ministero e feci il percorso che avevo delineato. Arrivai sul ballatoio, con un balzo passai dall’altra parte e ridiscesi comparendo a sorpresa davanti alla giuria esterrefatta. La prova era riuscita".

Il giorno successivo a processo Della Valle non ha neppure bisogno di fare un’arringa troppo lunga. Il processo era già vinto. Il 19 ottobre 1977 l’imputato viene assolto con formula piena per non aver commesso il fatto, dopo due anni di patimenti. E Della Valle diventa, per la stampa, "l’avvocato volante".