Il calcio, Ligabue e Dio: la satira di Gene Gnocchi

Il mondo surreale e la stralunata comicità del cabarettista e conduttore tv in scena al teatro Manzoni con i suoi monologhi e i suoi dubbi “da capoufficio“

Migration

di Marco Galvani

"Se mi dicono che non so cantare o non faccio ridere, non me la prendo. Ma se mi accusano di non saper giocare a pallone, allora sì che mi arrabbio per davvero. E molto". Non toccategli il calcio, a Gene Gnocchi. Ha pure sfiorato il sogno di giocare in Serie A, a 52 anni, da tesserato del Parma, ma "stavano lottando per la salvezza e non è stato possibile". Oggi, quindici anni dopo, "ho tentato di convincere Adriano Galliani a mettermi nella rosa del Monza, ma è stato irremovibile". Comunque "se gli viene voglia di un regista vecchio stampo… peraltro sono pure svincolato".

Ecco, il calcio. "Una delle cose buone che ha inventato Dio. Oltre ai 50 euro ritrovati nella tasca di un cappotto. E pazienza se era di un pensionato vino a me sull’autobus". Gene Gnocchi si muove sul filo del divertimento, della satira, dell’iperbole e dell’amarezza, seduto alla scrivania di un vecchio ufficio tra faldoni da riordinare e una vecchia radio. E’ il capoufficio che lavora direttamente per conto di Dio e ha saputo che il suo principale ha una frequenza quantistica attraverso la quale parlarsi. "Per capire un po’ di cose che non tornano – racconta Gnocchi –. Attraverso la radio vuole delle risposte". Altrimenti "Se non ci pensa Dio, ci penso io". Come il titolo dello spettacolo che il comico, cabarettista, conduttore televisivo, cantante e scrittore (visto che "la mia filosofia è: meglio fare dieci cose male che una bene") porterà in scena a Monza, la città dove vive il più grande dei suoi figli. E poco conta il fatto che "sono ateo. Ma questo non mi esime dalla possibilità di fare uno spettacolo in cui fare delle domande". Perché "in questi anni i dubbi del capoufficio sono aumentati, il piccolo impiegato comincia a mettere in dubbio le scelte del divino principale – spiega –. Insomma, a volte ce l’ha con noi, non ci dà retta". Altrimenti "come ti spieghi l’arrivo sulla terra dei cantanti spagnoli? Perché ha permesso l’invenzione del curling come sport o dei cappottini per i cani?".

I monologhi escono da quei faldoni che contengono problemi che sempre lui, il capoufficio, deve risolvere. Domande senza risposta, problemi che tormentano il mondo surreale di Gene, riflessioni che violano un confine tra il quotidiano e l’apocalittico, punteggiate dalla chitarra di Diego Cassani, da molti anni compagno d’avventura di Gnocchi, con soli e ritmiche che vanno dal teatro contemporaneo alla musica popolare. Perché dopo il calcio, viene la musica. "Sono un rockettaro, ho la mia band con cui facciamo cover di pezzi sconosciuti – confessa –. Con la musica ho un rapporto molto intenso".

Le citazioni durante lo spettacolo sono numerose. A cominciare da Ligabue che pure lui chiede ‘un momento’ a Dio per avere ‘una risposta ai miei perché’. Insomma, "dopo tutti i disastri della pandemia, adesso stiamo vedendo l’incubo della guerra in Ucraina e allora uno si interroga, vuole capire da Dio quali intenzioni ha per l’umanità – prosegue Gnocchi –. Ultimamente mi è sembrato un po’ latitante. Tutto ovviamente in chiave comica, semiseria. Sperando di far scattare la molla per cercare di essere meno livorosi, arroganti, cattivi e di riderci un po’ su". La risposta? "Qualcuna me la sono data e durante lo spettacolo la svelerò anche se in questo momento è davvero difficile sapere cosa salverà il mondo – ci pensa sopra Gene –. Anzi sì, lo so: saranno i bambini. Spero in loro. Gliel’ho anche detto alle mie due figlie di 6 e 9 anni che dovranno salvare il mondo. E loro mi hanno risposto va bene". Ci penseranno loro.