"Ciao Simo non è un addio". Lo strazio degli amici del ragazzo ucciso un mese fa a Pessano

A Vimercate è il giorno del dolore. Don Mirko: "Chiediamo scusa a questi ragazzi, non siamo riusciti a trasmettere loro la bellezza della vita"

Palloncini per Simone

Palloncini per Simone

Vimercate (Monza e Brianza) - La bara di frassino si fa strada fra due ali di ventenni. Hanno gli occhi rossi e i volti stravolti dal pianto, indossano una maglietta bianca con la foto di Simone Stucchi in primo piano: sorride. "Non è un addio ma un arrivederci". Una promessa che gli amici dell’edicolante di Vimercate ucciso a coltellate a Pessano durante una rissa, un mese fa, hanno voluto fare davanti a tutti, ieri. Il giorno del dolore, dell’ultimo saluto al compagno di tante serata, a quattro lunghissime settimane dall’omicidio. Lui è vittima di un regolamento di conti fra due gruppi rivali. Non è la trama di un film e quando arrivano papà Massimiliano e mamma Daniela con il loro carico straziante l’assurdità della sua fine travolge la folla.

Sul sagrato del santuario, a due passi dall’attività di famiglia, cala un silenzio pieno solo di abbracci e quasi nessuna parola: non servono. Dal pulpito con dolcezza il prevosto don Mirko Bellora chiede a tutti di "non giudicare", "di togliersi i sandali davanti a Simone, come Mosè davanti al roveto ardente". Ai 500 giovani sparsi fra i banchi della chiesa dice "di non cedere mai alla violenza, non c’è grandezza nell’andare in giro con un coltello in tasca" e chiede scusa ai ventenni a nome "di noi adulti e di noi preti che non sappiamo trasmettervi la bellezza della vita. E’ colpa nostra. Mentre il mistero di questa morte testimonia il valore assoluto di ogni esistenza, di ogni essere umano". 

Per il vangelo il teologo ha scelto il miracolo di Lazzaro ed è sulla speranza che torna più volte durante la predica davanti allo sgomento per la vicenda. "Simo è un seme e ci guiderà". La riflessione è arrivata dopo il ricordo dei genitori e della sorella Andrea. E’ un’amica degli Stucchi a tratteggiare per mamma e papà piccoli cammei di vita quotidiani persi per sempre e per questo ancora più preziosi: "Come dimenticare quando ascoltavi la musica che amavi tanto e facevi i tuoi balletti e quando cucinavi". "Non ci sei più perché qualcuno ti ha portato via con tanta ferocia. E da quel momento stiamo cercando di dare un senso a questo dolore selvaggio. Eri un figlio, un fratello, un nipote, un amico, un ragazzo che amava la vita come tutti noi. Vogliamo ricordarti che quel sorriso contagioso che portavi ogni giorno in edicola". "Vorrei chiamarti mio sole, ma non posso – il messaggio di Andrea – perché da quando non ci sei più ho capito che ho un’altra grande famiglia, i tuoi amici, che ci sono stati sempre vicini e tu appartieni a tutti". Le parole tra le lacrime e poi il lancio di centinaia di palloncini bianchi in una mattinata grigia prima dell’ultimo viaggio. Al cimitero, lo striscione, un’altra promessa: "Limo sappi che ti porteremo dentro in eterno".