Fatture false, raffica di ricorsi

Molti imprenditori indagati sostengono di aver effettuato operazioni vere nel settore dei materiali ferrosi

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di Stefania Totaro

Raffica di ricorsi al Tribunale del Riesame di Milano e Monza contro gli arresti e i sequestri patrimoniali da parte degli indagati del presunto traffico di fatture false con autoriciclaggio da 57 milioni di euro verso compiacenti società estere, tra cui per la prima volta appare anche la Cina. Ai giudici della libertà milanesi si sono iniziati a rivolgere i primi tra i 12 destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere dell’operazione “Ironfamily” (dal coinvolgimento della famiglia Ricco, rottamai da generazioni a Desio, con l’arresto di quattro fratelli) in cui i pm della Procura di Monza Salvatore Bellomo e Sara Mantovani ipotizzano il reato di associazione a delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio e autoriciclaggio. Pare che anche i Ricco avessero presentato il ricorso per la scarcerazione, ma poi l’hanno ritirato.

Mentre davanti ai giudici del riesame monzese si sono tenute già le discussioni dei ricorsi contro i sequestri di beni e denaro. Le difese degli indagati, italiani e cinesi, chiedono l’annullamento delle misure cautelari perché le fatture non sono false ma per operazioni commerciali reali nel settore dei rottami ferrosi e persino la nullità del decreto in quanto la Procura non avrebbe depositato tutta la documentazione sequestrata nei 2 anni di indagini. Ora si attendono le decisioni del riesame. L’inchiesta della guardia di finanza di Seregno è partita dopo un controllo effettuato nell’azienda di Desio, segnalata per operazioni anomale. Un’indagine apparentemente come tante altre sul sistema ormai consolidato delle false fatturazioni che permettono alle aziende di triangolare, attraverso società soprannominate ‘cartiere’ perché appositamente create per questo scopo, documentazione fiscale allo scopo di evadere le tasse e spostare ingenti capitali all’estero per poi farli ritornare clandestinamente indietro ed essere redistribuiti tra i personaggi di queste organizzazioni criminali di ‘colletti bianchi’. La grossa differenza è che la destinazione dei soldi ‘sporchi’ non sono più i cosiddetti ‘paradisi fiscali’ in Paesi esotici e neanche la triangolazione con la Svizzera e il Regno Unito, ormai bruciati dai controlli. Ma l’ingresso di nuovi Paesi in Europa, come Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia, Spagna e Ungheria ma soprattutto il coinvolgimento di società della Repubblica Popolare Cinese, che recentemente si sarebbero aperte a questi presunti traffici illeciti.

Altra novità rispetto alle inchieste del passato è che questa volta il denaro rientrava poi, secondo l’accusa, in Italia mediante corrieri dell’Est, al netto della “commissione” per l’illecito servizio di “schermo fiscale” reso (pari al 2% di ciascuna transazione) che costituiva la remunerazione del rottamaio di Desio e dei suoi familiari per complessivi 1,1 milioni di euro.