Ginnastica e violenze, l’ex allenatrice: "Insulti e vessazioni, io non facevo nulla"

Caso Desio, lo sfogo di un’esperta: ti convincono che sia giusto

Atlete al lavoro nel grande centro federale di Desio dove ogni giorno si allenano le farfa

Atlete al lavoro nel grande centro federale di Desio dove ogni giorno si allenano le farfa

Desio (Monza) - "Ho assistito a maltrattamenti di bambine e adolescenti, all’interno della palestra che frequentavo senza fare praticamente niente. Ritenendolo, di fatto, ‘normale’: serviva alla crescita psicologica ed emotiva delle atlete, che fossero di medio, alto o altissimo livello. Anzi quest’ultime tutto sommato erano meno maltrattate delle altre, perché temevano che andassero via e invece servivano. La quotidianità era ‘testa di c..., idiota, faccia di c..., handicappata motoria, non sai fare un c..., non vali niente, sembri un maiale, i tuoi genitori sono la tua rovina, orfane, le voglio le ginnaste…’ e tante altre cose che non ricordo più".

È un fiume in piena, Elisa (nome di fantasia), una ex allenatrice che vive nelle Marche. Che appena ha letto del "Caso Desio" ha fatto esplodere tutti i suoi ricordi, di quando era assistente nello staff di una società importante. "Quello che sta accadendo mi sta aiutando ad affrontare ciò che mi tormenta da quache anno – spiega –. Con dolore, tanto dolore. Una me che non accetto, che non voglio, che vorrei cancellare, ma con la quale devo fare i conti". Ricordi che si intrecciano. Perfino quello degli allenamenti messi in orari strategici, in modo da far saltare il pranzo alle atlete: "L’allenamento dalle 10 alle 16 – dice Elisa – che significava non mangiare". E ancora: "Mi è capitato spesso di frappormi tra la ginnasta presa di mira e l’allenatrice. Di solito se c’ero io con lei la lasciava in pace: questo è tutto ciò che ho fatto. Ma non è abbastanza. Allora mi sembrava giusto. Sì, qualche volta insisteva un po’ troppo e ritenevo giusto smorzare un po’, ma sostanzialmente ritenevo giusto il suo metodo. Sarebbero diventate più forti, più capaci di affrontare la vita, più toste. Invece era solo violenza pura a danno di bambine". Pensieri che la fanno stare male.

"In molti penseranno che potevo dirlo allora, potevo denunciarlo allora, che dopo è facile. Non potevo dirlo allora. Dovevo procurarmi prove, e nel momento in cui ho capito ero talmente scioccata da quella che ero da voler solo scappare. So che è difficile da credere, ma alla fine ti convincono che quello che fanno è giusto e normale per l’agonistica. E poi non è stato facile affrontare la mia coscienza. È il giudice più severo che abbia incontrato nella mia vita". C’è poi un aspetto, che la colpisce e preoccupa: "Vedo post di ginnaste ed ex della nazionale scrivere che loro non vivono o hanno vissuto vessazioni. Premetto che non so cosa sia successo in un passato remoto o recente a Desio, ma mi pongo una domanda: non è che hanno talmente introiettato i comportamenti abusanti nel loro io, da ritenerli ‘normali’ in buona fede? Mi sorge questa domanda, perché parlando con persone che hanno visto ciò che succedeva nella palestra che ho frequentato e dove ho visto l’orrore che ho descritto, mi sono resa conto che neppure ora percepiscono quanta violenza ci fosse".

Testimonianze come queste, ormai, sono all’ordine del giorno. Con l’associazione ChangeTheGame che le sta raccogliendo, vagliando, catalogando. Mail, telefono e social network bollenti, per questa realtà che si è schierata subito contro gli abusi, le violenze e le vessazioni nello sport. Oltre 40 le testimonianze firmate raccolte. Venticinque le testimonianze pubbliche su Instagram. Circa 70 segnalazioni circostanziate ma anonime. Dodici i casi "storici", antecedenti al 2010, e svelati solo oggi.