"Ero lì quando Gambino ha detto “rapinate Cristian“"

In Assise il 17enne testimone oculare del piano del presunto mandante e dei due baby killer: "Disse loro di prendergli i soldi e la droga"

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di Stefania Totaro

"La mattina del giorno dell’omicidio di Cristian eravamo nella camera da letto di Giovanni Gambino a farci una canna quando R. ha tirato fuori la storia di accoltellare Cristian e Giovanni ha detto di rapinargli la droga e i soldi perchè dicevano che Cristian girava con 1000 euro nel portafogli, soldi che venivano dallo spaccio e dalla pensione di invalidità che prendeva perchè si era rovinato con la droga". A testimoniare davanti alla Corte di Assise di Monza ieri un 17enne monzese del quartiere San Rocco dove il 29 novembre 2020 il 42enne Cristian Sebastiano è stato colpito da una trentina di coltellate sotto i portici da due baby killers che gli hanno rapinato una dose di cocaina.

R. e S., rispettivamente 14 e 15 anni all’epoca del delitto, tossicodipendenti e residenti nello stesso quartiere, sono già stati condannati a 14 anni di reclusione, confermati anche nel processo di appello, dove i giudici hanno disposto una perizia psichiatrica che ha concluso come l’abuso di droga dall’età di 12 anni possa avere inciso negativamente sulla loro crescita.

Ora alla sbarra c’è Giovanni Gambino, 43enne monzese vicino di casa e amico della vittima, dall’aprile 2011 in carcere perchè per gli inquirenti ha istigato all’omicidio i due minorenni. Il 17enne è considerato dalla pm della Procura di Monza Sara Mantovani un teste chiave del processo perchè era uno dei migliori amici di R. e ha trascorso con l’allora 14enne tutta la giornata, prima e dopo il delitto.

"E’ stata la prima volta quella mattina che ho sentito Giovanni parlare di rapinare Cristian, ma da come ne parlava sembrava che ne avessero già parlato – ha raccontato il 17enne – So che R. e Giovanni si conoscevano perchè R. gli vendeva qualche canna, mentre so che R. e Cristian si conoscevano bene perchè si drogavano insieme e R. mi diceva che Cristian lo chiamava con insistenza per incontrarsi e che ogni tanto lo tirava dentro con la cocaina e che quindi R. gliela voleva fare pagare perchè l’aveva fatto entrare nel tunnel della droga e voleva prendersi la sua piazza di spaccio. R. mi aveva già detto altre volte che voleva ammazzarlo, ma non mi sarei mai aspettato che lo facesse veramente. Anche a me aveva chiesto se volevo partecipare per rapinarlo e accoltellarlo insieme a lui. Gli avevo detto che era una c...ta e che non lo doveva fare perchè si rovinava la vita ma lui mi aveva risposto che non gliene fregava un c... e voleva toglierselo dai piedi".

Il 17enne, che ha ammesso di avere fatto uso di hashish e cannabis ma di essersi "tenuto lontano da altre droghe e dallo spaccio", ha ricostruito in aula cosa è successo dopo avere fumato la domenica mattina dell’omicidio a casa di Gambino.

"Siamo andati a casa di R., dove si è unito a noi anche S., che io ero presente quando R. gli ha chiesto di partecipare e lui ha accettato, anche se non so perchè l’ha fatto – ha dichiarato – R. ha mostrato un grosso coltello ad cucina che poi ha nascosto sotto il giubbotto mentre so che S. aveva un coltellino. Siamo scesi e io ho detto loro che non ne volevo sapere nulla e sono andato a casa a mangiare. Nel pomeriggio ci siamo incontrati davanti alla chiesa di San Rocco e mi hanno detto che l’avevano accoltellato e che gli avevano preso una bustina di cocaina e 1000 euro, ma io non li ho mai visti. Siamo andati a casa di S. e il coltello da cucina l’hanno nascosto tra i vestiti e poi siamo usciti di nuovo e io e R. siamo andati ai giardinetti con altri amici, mentre S. doveva andare in treno al bosco della droga a Ceriano, forse per vendere la cocaina. Alla sera, mentre stavamo tornando a casa, sono arrivati i carabinieri".

Giovanni Gambino nega di avere istigato l’omicidio. Il suo avvocato, Manuel Gabrielli, nel controesame del 17enne ha puntato il dito sul fatto che nell’interrogatorio avvenuto nell’immediatezza dei fatti il ragazzino non aveva parlato di Gambino. Poi ha voluto chiarire le circostanze in cui l’imputato ha detto di rapinare la droga alla vittima. "Giovanni era sdraiato sul letto e io e R. eravamo seduti – ha detto il 17enne – Mentre ci passavamo la canna stavamo guardando il telefonino, io stavo postando una storia su Instagram, c’era un clima conviviale di amicizia". Si torna in aula a giugno.