Dalla Brianza a Houston per studiare stelle e pianeti

L'astronomo Andrea Isella, originario di Sovico, è professore alla Rice University in Texas, dove guida un gruppo di ricerca che indaga come nascono e si formano i corpi celesti. Ora è candidato ai prestigiosi Issnaf Award

Sovico, l'astronomo Andrea Isella, sovicese trapiantato negli Stati Uniti

Sovico, l'astronomo Andrea Isella, sovicese trapiantato negli Stati Uniti

Sovico (Monza e Brianza), 18 ottobre 2016 - Dalla Brianza all'America per capire come si formano i pianeti e le stelle. E' la storia dell'astronomo Andrea Isella, originario di Sovico, oggi assistente professore alla Rice University a Huston, in Texas. Qui guida un gruppo di ricerca impegnato a studiare come nascono e si formano i corpi celesti, servendosi di osservazioni nelle frequenze radio ottenute con Alma, un radio interferometro collocato a 5mila metri di altitudine circa nel deserto di Atacama, in Cile, frutto della collaborazione tra Europa, Usa, Canada, Cile, Giappone, Taiwan e Corea del Sud. Ora Isella è tra i finalisti dello Young Investigators Award in Environmental Sciences, Astrophysics and Chemistry dei prestigiosi Issnaf Award 2016, premi che saranno consegnati oggi all'Ambasciata Italiana a Washington dalla Fondazione che raggruppa 4mila scienziati e accademici italiani attivi in Nord America. Dalla Brianza a Houston: come è nato tutto? Sono sempre stato interessato all'astronomia fin da bambino. Poi ho fatto il liceo scientifico, dove ho incontrato un professore appassionato di astronomia, con cui ho approfondito la materia. Così ho deciso che volevo fare l'astronomo di professione: dopo il liceo mi sono quindi iscritto all'università di Padova, una delle poche in Italia con un corso di laurea specifico. Quando mi sono laureato l'unica possibilità per fare ricerca era svolgere un dottorato: ho fatto perciò un po' di concorsi e ho vinto un posto all'università di Milano. Ma, come capita in Italia, il posto non era coperto da alcuna borsa di studio, occorreva lavorare gratis. La fortuna è venuta però in mio soccorso: all'Osservatorio di Arcetri cercavano una persona che lavorasse proprio nel settore dell'astronomia da me approfondito: così ho svolto lì il dottorato, a Firenze, seppur per conto dell'università di Milano. E come è avvenuto il passaggio in America? Era il 2006. Durante il dottorato ero andato a un congresso in California e mi era piaciuto molto l'ambiente, così ho iniziato a far domande per trovare un posto in quella zona. Grazie al lavoro svolto nel dottorato, sulla formazione dei pianeti e delle stelle, ho vinto una borsa di studio con la Nasa, per studiare gli oggetti dell'universo con una nuova tecnica: anziché usare un singolo telescopio vengono impiegati più telescopi contemporaneamente. Sono stato uno dei primi a utilizzare, e ad aiutare a sviluppare, un nuovo telescopio basato su questa tecnica. A quel tempo eravamo in pochi a fare questo lavoro. Lì sono rimasto 3 anni. In quel periodo ho presentato richieste di fondi per studiare la formazione dei pianeti: ho ricevuto finanziamenti dalla National Science Foundation e così ho deciso di rimanere negli Stati Uniti. Negli Usa è diventato professore. Quanto ho deciso di restare negli Stati Uniti ho fatto domanda in varie università americane per una posizione da professore: il vantaggio di un posto da docente è che ho avuto i fondi per creare un mio gruppo di ricerca. Oggi non solo più da solo, ho un gruppo con 5 collaboratori fissi, a cui si aggiungono molti altri collaboratori all'esterno dell'università. Dal 2007 al 2014 ho lavorato a Pasadena al Caltech, il California Institute of Technology; poi la Rice University mi ha selezionato e così dal 2014 mi sono trasferito a Huston con la mia famiglia. Ma da dove nasce questa passione per l'astronomia? E' una mia passione da sempre. Vengo da una famiglia di commercianti, una tipica famiglia brianzola di gente che lavora 20 ore al giorno. Quindi non proprio orientata a questi argomenti. Ma ho avuto degli zii che mi portavano spesso per musei, e più volte al Museo della Scienza e della Tecnica a Milano; a 6 anni mi hanno regalato un piccolo telescopio e un libro di astronomia che ho ancora oggi, e che all'epoca sottolineavo senza nemmeno sapere bene quanto capissi. Poi l'incontro, al liceo scientifico, con un professore appassionato di astronomia, che ci teneva anche un corso extrascolastico serale, ha fatto il resto. Ero il classico astrofilo, avevo usato i soldi risparmiati in gioventù per comprarmi un telescopio, che possiedo ancora adesso. Certo devo ringraziare i miei genitori, che mi hanno permesso di andare all'università seguendo questa mia passione. Di cosa si sta occupando oggi col suo gruppo? Cerchiamo di capire come si formano i pianeti. Noi viviamo all'interno del Sistema solare, dove abbiamo pianeti molto diversi dal nostro. Nel corso del tempo sono stati poi scoperti altri sistemi solari, con migliaia di pianeti. Ma ancora oggi non sappiamo in dettaglio come la Terra e il Sistema solare si siano formati, abbiamo delle vaghe idee. Il problema è che il nostro sistema planetario è vecchio. Di solito uso questa analogia: se vuoi capire come l'uomo nasce devi guardare un neonato, non dei 60-70enni. Così quello che cerchiamo di scoprire sono immagini di pianeti appena nati, perché in questo modo è molto più facile capire come si siano formati. E perché fate questo? Perlustriamo l'universo alla ricerca di pianeti giovani, che si stanno formando: oggi avendo telescopi sufficientemente potenti possiamo fotografarli e dalle misurazioni possiamo ricostruire tante informazioni scientifiche, per comprendere quando si formano, dove si formano e con quale composizione chimica. Questo ci permetterebbe di capire se la Terra e il Sistema solare sono casi unici oppure no. Che sono poi le domande fondamentali dell'astronomia: capire quanto siamo unici nell'universo e che ruolo abbiamo. Fino a pochi anni fa i telescopi non erano abbastanza potenti per riuscire a catturare immagini di questi sistemi planetari appena nati. Lei ormai è negli Stati Uniti da parecchi anni. Com'è fare ricerca in America? Io mi sono trovato bene, sono sempre riuscito a fare quel che mi ero proposto. La ricerca negli Usa la puoi fare solo se riesci ad avere i fondi per portarla avanti, per pagare lo stipendio di un gruppo di ricerca. I soldi qui non arrivano dall'università ma da Agenzie federali, che certo non li danno solo sulla fiducia: devi dimostrare la validità del tuo progetto. E c'è molta richiesta: solo un progetto su 10 in media viene finanziato. Quindi c'è molta competizione per ottenere fondi. Che differenza c'è con l'Europa e con l'Italia? Gli Stati Uniti sono disposti a rischiare nella ricerca, quindi mi trovo bene. Ma vedo che comunque ora anche in Europa le cose stanno andando bene su questo fronte. Oggi come oggi Europa e Stati Uniti penso si equivalgano. Ho moltissimi collaboratori in Europa. Anche in Italia mi sembra che adesso il sistema funzioni meglio e, col fatto che i fondi arrivano dall'Unione Europea, che ci siano più soldi a disposizione. Un problema dell'Italia è che gli stipendi dei ricercatori sono troppo bassi. Apprezzo chi intraprende questa strada nel nostro Paese, perché dal punto di vista economico certo non conviene. La Germania da questo punto di vista offre molto di più: infatti ho diversi collaboratori italiani in Germania. Però in Italia la qualità della vita è migliore: uno deve mettere sulla bilancia vari aspetti. Dipende da cosa si cerca. Non tutti, ad esempio, sono disponibili ad adattarsi al sistema americano. Pensa di restare per sempre negli Stati Uniti? Non lo so. Al momento non ho il desiderio di spostarmi dagli Usa. Anche perché ho 2 bambini che qui vanno a scuola. Bisognerà poi vedere cosa accadrà nel futuro: per quella che è la mia esperienza, le cose succedono sempre in maniera imprevista. Certo ci sono cose dell'Italia che mi mancano, oltre al cibo, naturalmente: la socialità che c'è in Italia negli Stati Uniti non c'è, sei più isolato. L'America è tendenzialmente un Paese dove ognuno si fa i fatti suoi. Quindi le manca l'Italia? E la Brianza? Ogni tanto torniamo in Italia, una volta ogni anno-anno e mezzo cerchiamo di tornarci. Ma la Brianza non mi manca. Ogni volta che ritorno dopo qualche giorno inizio a soffrire: incontro una ristrettezza mentale, per certi versi, a cui non riesco più ad adattarmi. Magari in una città come Milano potremmo anche trovarci, in paesi della Brianza dove c'è poca diversità non credo: si sentono fare certi discorsi ad esempio sugli immigrati... Io e la mia famiglia siamo abituati a vivere in un Paese dove c'è rispetto per la diversità, perché siamo tutti immigrati. Certo, come ho detto, ci manca la socialità che c'è in Italia. In fondo non ci sono Paesi perfetti. Qui in America hai più efficienza ma sei più isolato. Sono molto diversi l'Italia e gli Stati Uniti. La Germania forse è una via di mezzo, se mai dovessimo spostarci in futuro potrebbe essere un buon posto. E' tra i finalisti degli Issnaf Award. E' un riconoscimento importante per lei? Fa sempre piacere ricevere un premio. Questa mi sembra una buona iniziativa fatta dall'Ambasciata Italiana e quindi sono contento di esserne coinvolto. Ne sono felice, e però mi fa un po' specie il fatto che in Italia e in Europa ci sono ricercatori che fanno le stesse mie cose e non vengono riconosciuti. Mi piacerebbe vedere riconosciuto anche il loro lavoro. Certo poi la pubblicità serve, specialmente negli Usa, dove per trovare fondi per la ricerca occorre essere visibile: perciò ringrazio l'Ambasciata per questo. Comunque sarebbe bello vedere più riconoscimenti per quelli che svolgono questo lavoro in Italia, questo è sicuro. Anche in Italia ci sono ricercatori che portano avanti questi studi? A Milano c'è un gruppo che affronta questi argomenti da un punto di vista più teorico, a Padova c'è un gruppo che lavora sull'osservazione dei pianeti. Ci sono gruppi a Firenze e a Roma. La formazione scientifica italiana è molto rinomata: il fatto che molti dottorandi italiani trovino lavoro all'estero lo testimonia. Facciamo tutto bene fino agli ultimi 10 metri, per così dire: un'ottima preparazione, ma quando poi arrivi alla fine è difficile trovare chi investe nella ricerca. Ma non si creda: oggi anche in America c'è il problema del finanziamento della ricerca, la recessione ha colpito i budget delle varie Agenzie federali. In Italia c'è un po' questa idea che negli Stati Uniti sia tutto oro per la ricerca: non è così, ci sono problemi anche qui, nel passato sicuramente c'erano più fondi ma ora è diverso.