Corruzione sulle protesi ortopediche: in 4 preferiscono patteggiare

Pena pecuniaria all’azienda, 2 anni e 8 mesi e 3 anni e 4 mesi ai chirurghi, 2 anni e 8 mesi al commerciale

Il chirurgo Marco Valadè di Seregno si è visto confermare la condanna a 2 anni e 8 mesi

Il chirurgo Marco Valadè di Seregno si è visto confermare la condanna a 2 anni e 8 mesi

Monza,18 giugno - Quattro patteggiamenti per la corruzione sulle protesi ortopediche scoperta dalla Guardia di Finanza con l’operazione ‘Disturbo’ coordinata dal pm Manuela Massenz. Il giudice dell’udienza preliminare Patrizia Gallucci ha confermato 2 anni e 8 mesi e 3 anni e 4 mesi per i chirurghi del Policlinico di Monza Marco Valadè di Seregno e Fabio Bestetti di Paderno Dugnano, 2 anni e 8 mesi per Denis Panico, responsabile commerciale in Italia dell’azienda francese delle protesi Ceraver, e una pena pecuniaria per la ditta. Ha deciso, invece, di andare a processo il chirurgo ortopedico Claudio Manzini, luminare nei traumi al ginocchio, in servizio agli Istituti clinici Zucchi. Le accuse contestate sono a vario titolo quelle di associazione per delinquere e corruzione. Panico e Marco Camnasio (venditore delle protesi in Lombardia), con il placet di tre dirigenti francesi anche loro a processo, reclutavano medici disposti a scegliere le loro protesi, offrendo come corrispettivo denaro e altre utilità, dai viaggi alle cene. Bestetti e Valadè, secondo l’accusa, si sarebbero attivati per utilizzare le protesi e per contribuire alla ricerca di medici di base disponibili a reclutare pazienti.

Bestetti è anche accusato di essersi attivato presso la clinica convenzionata GB Mangioni Hospital di Lecco, dove si era spostato lasciando il Policlinico, anche per promuovere l’utilizzo di protesi ‘Samò’, a loro volta vendute da Camnasio e Panico. Valadè avrebbe anche sponsorizzato un integratore prodotto da Camnasio. Dopo il patteggiamento, Bestetti e Valadè dovranno ora rispondere delle accuse di lesioni dolose in relazione a 91 interventi chirurgici (15 Bestetti, 76 Valadè) effettuati al Policlinico di Monza (struttura sanitaria completamente estranea alla vicenda) e in una clinica di Ivrea su pazienti provenienti da tutta Italia: per l’accusa li avrebbero convinti dell’assoluta necessità di impiantare una protesi all’anca o al ginocchio nonostante l’intervento chirurgico fosse superfluo. Anche se entrambi i chirurghi respingono questa tesi, assicurando di avere sempre agito "per il bene dei pazienti".