Covid-19, banca dati dei pazienti e studio dei farmaci: in campo la ricerca della Bicocca

Il pro-rettore Guido Cavaletti : "Protocolli condivisi col San Gerardo per raccogliere informazioni e essere pronti a gestire la risalita dei contagi"

Guido Cavaletti, specialista in Neurologia, è pro-rettore alla Ricerca della Bicocca

Guido Cavaletti, specialista in Neurologia, è pro-rettore alla Ricerca della Bicocca

Monza, 23 aprile 2020 -  Cura, ma anche ricerca. Assistenza e sviluppo di modalità sempre più efficaci per contrastare il Covid-19. Presente e futuro. La cura dell’ospedale San Gerardo, la ricerca dell’università Bicocca. Un’alleanza per "cercare di imparare quello che ci serve adesso per gestire meglio questa emergenza, ma anche per essere più preparati nel prossimo futuro". Guido Cavaletti, specialista in Neurologia, è pro-rettore alla Ricerca della Bicocca, con un prezioso patrimonio di professionalità fatto da una delle più importanti scuole di medicina, ma anche da una serie di dipartimenti che si occupano di vari aspetti - dalla biologia e biotecnologia fino alla parte di fisica elettronica e informatica e delle scienze umane e sociali - che possono essere coinvolti in progetti interdisciplinari.

Professore, oramai è chiaro a tutti che questa fase dell’emergenza avrà una coda molto lunga e che la nostra coabitazione con questo virus sarà di lunga durata. Cosa comporta? "L’emergenza e la scarsità di informazioni riguardo a Covid-19 ha portato alla definizione all’interno dell’ospedale di una serie di protocolli di ricerca condivisi tra la componente universitaria e quella ospedaliera per raccogliere in modo valido informazioni: tutta l’enorme quantità di dati che riguardano i pazienti e che vengono raccolti per motivi di tipo diagnostico e gestiti in un modo di totale garanzia della privacy, devono poter essere raccolti in un modo fruibile. Questa fase di raccolta è essenziale e non è semplice, perché nel momento in cui si andranno ad analizzare a posteriori, tutto quello che non abbiamo raccolto adesso potrebbe essere difficile da recuperare successivamente. L’idea di base delle sperimentazioni di questo tipo è da un lato partecipare a progetti nazionali e internazionali di ricerca la più avanzata possibile per dare il nostro contributo alla gestione dell’immediato, dall’altro raccogliere campioni e dati che siano utilizzabili a distanza di tempo, creando una sorta di database informatico che rispetti gli standard di sicurezza che possa essere interfacciato con una banca di campioni biologici che permetta successivamente di fare le analisi". Siete impegnati anche sullo studio di farmaci anti-Covid? "Su questo tema c’è sempre il timore che poi si ingeneri una aspettativa che poi è troppo precoce rispetto allo stadio di sviluppo del farmaco. Noi abbiamo due gruppi di ricerca che avevano lavorato sulla possibilità di utilizzare dei farmaci in fase di sviluppo per il trattamento della prima epidemia di Sars. Quei farmaci che poi erano rimasti in laboratorio e non era più stato importante sviluppare perché la situazione era diventata meno problematica, sono serviti da base per ripartire a studiarli viste le analogie tra i due virus. Però queste due classi di farmaci sono ancora nella fase pre-clinica, di test nell’animale. Siamo molto lontani dalla possibilità di un uso sul paziente". Oltre agli studi clinici su quali progetti lavorate? "Come capofila del progetto "Milano ventilatore meccanico" stiamo sviluppando un ventilatore meccanico, facile da costruire, di basso costo e scalabile in produzione industriale in una azienda che non sia nata per fare ventilatori meccanici. Vogliamo risolvere il problema di avere un dispositivo che non avrà mai le prestazioni di un ventilatore di alta gamma, ma che potrebbe costituire il ponte di passaggio per quei pazienti che sono al limite tra il poter essere assistiti con ventilazione non invasiva e dover invece andare verso l’intubazione. Che, per una certa fase dell’emergenza, è stato un problema drammatico nei nostri ospedali. Ora siamo in una fase avanzata di prototipizzazione e speriamo di essere in grado di avere la certificazione in tempi molto brevi per arrivare poi alla produzione. E’ un prodotto da qualche migliaia di euro, costruito con elementi di facile reperibilità. Il vero problema non è essere capaci di fare un ventilatore, molte volte è avere quello che serve per costruirlo". Ma questo progetto non rischia di arrivare un po’ in ritardo per noi? "Noi speriamo di sì. Se dovesse servire a noi vorrebbe dire che abbiamo fatto un grande passo indietro rispetto alla situazione attuale, ma pensiamo che sia un progetto che ha una grande valenza anche da un punto di vista sociale non solo sanitario. Perché in molti Paesi già qualche migliaia di euro sarebbero una cifra faraonica. Questo risponde a un bisogno pratico, vuole fare vedere come per noi è assolutamente chiaro che il ruolo dell’università non può essere quello di dedicarsi ad una ricerca fine a se stessa, ma dev’essere una ricerca che si traduce in un beneficio per la comunità". Come per i dispositivi di protezione personale... "Vogliamo identificare materiali che non sono stati pensati come componenti delle mascherine (chirurgiche, FFP2, FFP3) ma che per loro caratteristiche fisiche potrebbero esserlo. Partendo sempre da materiali che siano facilmente reperibili, in quantitativi adeguati e possibilmente il più vicini possibile a noi. Quindi abbiamo fatto una chiamata alle aziende che erano in contatto soprattutto con il nostro Dipartimento di scienze dei materiali per cercare chi fa dei tessuti o comunque dei prodotti maneggiabili (ad esempio materie plastiche per fare stampi), modellabili per formare una mascherina, e che fossero disponibili a darceli per poterli testare e individuare quali possono essere utilizzati per mascherine a norma. Questo potrebbe essere utile vista la difficoltà di reperire le mascherine e i materiali per costruirle, e considerato che dovremo abituarci a utilizzare questi dispositivi di protezione per lungo tempo e in tutti i luoghi". Professore, quale prospettiva ci attende? "L’esperienza ci insegnerà come convivere con il virus. Una risalita dei contagi quando il numero delle persone in circolazione aumenterà, sarà fondamentalmente inevitabile. Il problema è l’entità di questa risalita: quello che ci si aspetta è che sia ragionevolmente contenuta e gestibile. Sarà importante capire quanto aprire il rubinetto nel momento in cui si decide di ricominciare ad andare in giro. Soprattutto nelle regioni dove il contagio è stato maggiore. E riuscire ad avere la sensibilità di leggere la risalita dei contagi per decidere se è fisiologica o se è necessario fare un passo indietro".