Coronavirus: i segni degli occhiali, le lacrime e la rabbia di Sara

Commuove la lettera del marito di un’infermiera per il suo compleanno senza regali né abbracci, condivisa sui social per sopportare il peso del dolore

Lettera alla sua Sara, ma anche a tutte le mogli e i mariti che indossano il camice

Lettera alla sua Sara, ma anche a tutte le mogli e i mariti che indossano il camice

Vimercate (Monza e Brianza), 25 marzo 2020 - Domenica era il compleanno di Sara. Domenica Sara era a casa. Una fortuna. Un caso nel giro dei turni in ospedale. Perché Sara è una infermiera del pronto soccorso di Vimercate. Domenica era il suo compleanno e "non ho potuto farle un regalo, abbiamo rimandato un viaggio, ma le ho fatto una torta e poi le ho donato una lettera". Marco Trovato è il marito di Sara. Lui lavora da casa, si occupa anche del figlio. Lei, invece, è in prima linea, "esce di casa la mattina presto e non puoi mai sapere a che ora tornerà". E quando rientra la vede "stremata e sconvolta, il volto scavato dalla fatica, il sorriso tirato, gli occhi lucidi, lo sguardo velato da un’ombra ineffabile. Addosso i segni della mascherina e degli occhiali protettivi. Poca voglia di parlare. Solo il desiderio di una doccia calda: per sciogliere la tensione, far scivolare via i cattivi pensieri, lavare le ferite della lunga battaglia. L’ennesima".

Le parole che Marco ha voluto scrivere e poi condividere perché "in questo momento c’è bisogno di empatia, sapere di non essere soli aiuta a sopportare il peso di queste giornate, di questa guerra", arrivano come una carezza. Alla sua Sara, ma anche a tutte le mogli e i mariti che indossano un camice o una divisa. E che vedono con i loro occhi la sofferenza dei pazienti. Ma non ti puoi avvicinare, "la mancanza di contatto fisico è devastante, il fatto di non poter abbracciare tuo figlio è doloroso". Nemmeno Sara. Eppure "avrei voluto prenderla tra le braccia per scaldarla in questi freddi giorni di primavera".

L’ha vista piangere in silenzio. Avrebbe voluto consolarla e incoraggiarla, ma "nemmeno una carezza, dannazione, per alleviare la tua sofferenza". Ha potuto solo ascoltarla, le parole che diventano un fiume di emozioni e di rabbia: "Parlavi e mi guardavi per assicurarti che capissi fino in fondo - continua la lettera -. Quello stesso sguardo con cui, quando ero bambino, mi osservavano i partigiani sopravvissuti alla guerra, mentre io ascoltavo incredulo i loro racconti". In fondo, "anche questa, a ben guardare, è una guerra. Una strana guerra con un nemico invisibile ai più. Non a te. Tu lo vedi ogni giorno assieme ai tuoi colleghi e compagni di lavoro impegnati ad affrontare l’emergenza, in prima linea. Ogni giorno in trincea contro il male impalpabile che ci ha allontanato dai nostri affetti, che ha scacciato i bimbi dai parchi fioriti, che ha fatto piombare sulle nostre città un silenzio irreale, sinistro, spettrale". Ogni giorno sua moglie gli racconta la vita al fronte, "arrivano pazienti in continuazione".

Loro resistono nonostante tutto, nonostante il peso non soltanto fisico ma anche psicologico che devono affrontare. Perché ormai ovunque nel mondo "migliaia di innocenti soffocano nella solitudine - le parole di Marco -. Si spengono senza il conforto dei propri cari. Senza un gesto di pietà, un estremo saluto. Manco un funerale. Solo voi, con la vostra compassione, ad accompagnarli in questa pena. Ma non mollate". Medici, infermieri, operatori socio-sanitari: "Vi chiamano eroi, angeli. E, certo, meritate gratitudine e plausi. Ma siete donne e uomini che fanno il proprio mestiere. Come sempre. Solo che oggi la gente si accorge di quanto sia importante, prezioso. Vitale. E chissà se lo terrà a mente quando la tempesta sarà passata e i giorni bui che stiamo vivendo saranno solo un lontano ricordo", il pensiero di Marco al domani. E allora, come regalo di compleanno, resta la promessa di non dimenticare. Che dovrebbe essere una promessa di tutti. Di non scordare "il viso esausto e tormentato" dei sanitari nelle foto sui social che tutti ora condividono. Come "il peso dell’ansia che ti resta appiccicata addosso la notte, quando il tuo respiro si fa affannoso e i tuoi sonni agitati". Come in un incubo.