Coronavirus, le piccole e medie imprese: "Così rischiamo di morire prima di fame"

Paolo Galassi, presidente di Api, si augura che le misure restrittive siano revocate per evitare il tracollo dell’economia

Paolo Galassi, presidente di Api Associazione piccole e medie industrie

Paolo Galassi, presidente di Api Associazione piccole e medie industrie

Monza, 28 febbraio 2020 - "Non possiamo morire di fame per evitare di morire di coronavirus". A parlare è Paolo Galassi, presidente di Api (Associazione piccole e medie industrie), 2000 imprese associate di cui 25 proprio nei paesi della “zona rossa”Galassi ce l’ha con la politica "il Governo in particolare" per come è stata gestita l’emergenza coronavirus, ma non solo. "Gli imprenditori se la sono sempre cavata da soli. In tutti questi anni di difficoltà, a partire dal 2008 a oggi, le aziende si sarebbero aspettate forme di sostegno più efficaci". Invece? "Invece molte imprese hanno dovuto chiudere e quelle che sono rimaste in piedi l’hanno fatto grazie alle proprie forze, alle proprie capacità".

"Mi auguro - dice Galassi - che da lunedì possano riprendere tutte le attività con regolarità. La nostra associazione è stata accanto alle imprese anche in questi giorni difficili. Abbiamo cercato di favorire lo smart working ma nelle imprese manifatturiere ci sono mansioni che non si possono fare da casa. Tutti, però, si lamentano di come il Governo ha affrontato questa situazione".

Ma come si poteva fare altrimenti? "Se il pericolo è ad esempio che il sistema sanitario possa collassare per l’alto numero di malati che giungono negli ospedali, bisogna utilizzare risorse e forze per realizzare strutture, ospedali da campo che possano far fronte a questa eventuale emergenza, invece di chiudere le imprese, almeno dove non ce n’è una strettissima necessità".

Ma il Covid-19 aveva cominciato a danneggiare le imprese già ben prima di arrivare in Italia. Un sondaggio fra gli associati di Api ha messo in evidenza che sulle imprese che importano dalla Cina (Paese dal quale è partita l’epidemia e dove le ripercussioni sono state sino ad ora più pesanti) il 72 per cento ha subito ritardi o mancate consegne di materie prime o semilavorati. Di conseguenza questa situazione ha generato a sua volta per il 44 per cento delle aziende ritardi nella consegna dei prodotti ai clienti. Ma non solo. Il 27 per cento ha avuto perdite di commesse. E se per molti è ancora presto per valutare le ripercussioni sul fatturato, un 26 per cento delle attività stima perdite fra il 5 e l’8%. E per far fronte a queste difficoltà il 42 per cento ha utilizzato gli stock e razionato le forniture ai clienti, il 21 per cento ha cercato altri fornitori. Ma molti non sanno che alternative trovare.