"La chimica? Come stare in la cucina e la ricerca..."

Luca Banfi, professore universitario e luminare di chimica organica, torna al liceo Zucchi, da dove tutto cominciò

Il professore Luca Banfi con alcuni dei suoi studenti

Il professore Luca Banfi con alcuni dei suoi studenti

Monza, 28 novembre 2018 – L’ultima volta che aveva varcato quel portone, era stato 43 anni fa, nel 1975, quando in quei corridoi si era diplomato. Ma forse, allora, neppure sapeva dove lo avrebbe portato un giorno il suo futuro. Studi di chimica quasi a sorpresa, per lui che era figlio di un ingegnere edile e di una professoressa di Lettere, nessun quarto di nobiltà accademico, diventato un’autorità nella chimica organica. E dopo aver accumulato un curriculum eccezionale (con studi anche negli Stati Uniti) e aver vinto alcuni importanti premi di chimica, oggi è titolare di ben sei insegnamenti per un totale di circa 280 studenti, è ricercatore e direttore di dipartimento all’università di Genova. E venerdì sera (ora di inizio 19.30) tornerà nel luogo da cui tutto ebbe inizio, il “suo” liceo Zucchi, per un incontro con studenti, docenti, cittadini.

Tema, “Il ruolo di un chimico organico nelle scienze dellavita. Dai banchi del liceo Zucchi alla cattedra di un’università”.

Ne parliamo col protagonista, il professor Luca Banfi, classe 1957, moglie, un figlio, lissonese di origine, ligure ormai d’adozione.

Si parla di scienza, studi, progresso ma... com’è messa la ricerca in Italia?

“Beh, non benissimo, se si considera che l’Italia nell’Unione europea occupa il secondo posto come spesa pensionistica e l’ultimo per la ricerca di base. La ricerca di base, quella definita “curiosity driven”, che parte da pura curiosità, in Italia è sottofinanziata. Un peccato, persino il grande Guglielmo Marconi non sarebbe riuscito a inventare la radio se non si fosse potuto basare su una serie di scoperte arrivate da ricerche di base fatte da altri scienziati”.

E quindi?

“Si fatica a essere competitivi con le altre Nazioni. All’estero ci sono molte più opportunità di ottenere borse di dottorato o post-dottorato. Non è un caso che gli Italiani sono quelli che si danno maggiormente da fare per accedere ai fondi europei. Insomma, i soldi mancano sempre, bisogna sudarseli”.

La cosiddetta fuga di cervelli comincia anche così?

“Non è vero però che i migliori vadano tutti all’estero, i cervelli ci sono anche qui. La situazione non è così drammatica, non è che in Italia restino i peggiori. In Italia semplicemente abbiamo poche possibilità di pagare per la ricerca e quindi parecchi ragazzi espatriano. Ma come escono così poi rientrano: gli Italiani hanno una buona preparazione e un’etica del lavoro che spesso manca a tanti loro colleghi stranieri.

Il problema purtroppo è che le nostre aziende, che pure cercano persone valide, spesso gratificano poco i neolaureati. All’estero non va così. Si tratta di una miopia tutta delle nostre aziende che misurano troppo con la calcolatrice e non investono sulla qualità del lavoro. Ma ai miei studenti lo dico sempre: se l’Italia andrà bene, sarà per i suoi giovani”.

Miopia... In Italia si dice che le donne siano discriminate. Succede anche nella Scienza?

“L’Italia ha tanti difetti ma è più avanti di tanti Paesi esteri, me ne accorgo quando partecipo ai convegni. Nella ricerca e nei laboratori in Italia il 50% dei posti, anche con posizioni di rilievo, è occupato da donne, all’estero questo accade solo per il 10%. Purtroppo quello che frena in Italia non è l’ambiente accademico e scientifico, ma tante volte sono le questioni familiari... Ho visto tante ragazze tirarsi indietro perché il lavoro del partner, spesso a torto, era considerato più importante; chi riesce è chi ha un rapporto paritario. È un problema di condizionamento culturale”.

Perché la chimica è così bella?

“La chimica organica, di cui mi occupo io, è la chimica dei composti del carbonio, la chimica degli organismi viventi: si fa ricerca e ogni giorno c’è un problema da risolvere. Una continua sfida, nella quale dobbiamo coniugare teoria e pratica. Non si sta solo a una scrivania ma anche in laboratorio. Posso fare un esempio?”.

Prego.

“È come la cucina. Se ti piace cucinare, ti piace la chimica: si segue una ricetta ma poi si improvvisa sempre un po’, ci vuole manualità. Un chimico organico si sporca le mani. La chimica è una scienza che non si limita a osservare, ma fa esperimenti, si tenta di far fare alle molecole quello che si vuole”.

La chimica spiega molte cose, anche l’amore?

(ride) “Non è cosi facile anche se spesso nei laboratori ho visto nascere amicizie e amori profondi. Perché in laboratorio si impara che non si può far tutto da soli nella vita, ci si deve sempre aiutare”.