Cellule “armate” in provetta per combattere il tumore

Tre ragazzi al centro per la leucemia del bambino in remissione da tre anni. L’ultimo studio pubblicato su Nature dimostra che la “terapia Car-T” funziona

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di Marco Galvani

Cellule ‘armate’ in laboratorio per potenziarne l’azione contro il tumore. Artiglieria pesante ottenuta con la manipolazione genetica del sistema immunitario del paziente (i linfociti T, ovvero globuli bianchi specializzati nel riconoscimento delle cellule infettate da virus, prelevati da un paziente dopo il trattamento vengono reinfusi nel suo organismo) che, in alcuni casi, permette di controllare a lungo termine, se non guarire, la malattia.

A Monza, nel Centro per lo studio e la cura delle leucemie del bambino, "abbiamo tre ragazzi che hanno raggiunto circa 3 anni di remissione della malattia senza avere fatto alcun altro trattamento". Pazienti che, altrimenti, non avrebbero avuto speranza terapeutica. E invece l’ultimo studio pubblicato su Nature dimostra che la cosiddetta ‘terapia Car-T’ è in grado di riaprire la speranza. Si tratta di "un lavoro molto importante, innanzitutto perché è stato svolto dai ricercatori dell’Università della Pennsylvania, sotto la guida del professor Carl H. June, pioniere dell’applicazione clinica della tecnologia - spiega Andrea Biondi (foto), responsabile della pediatria della Fondazione Mbbm al San Gerardo e luminare nella ricerca contro le leucemie in età pediatrica -. Il fatto che, a 10 anni dall’infusione con cellule Car-T, ci siano dei pazienti con leucemia linfatica cronica in remissione, ci porta a dire che con questo tipo di cellule sia possibile ottenere delle lunghe remissioni, senza la necessità di ricorrere ad altri interventi, come ad esempio il trapianto di cellule staminali".

Uno di quei pazienti è Doug Olson, che nel 2010 venne sottoposto a una terapia sperimentale contro il cancro da cui era affetto, una leucemia linfocitica cronica. Era la terapia Car-T che trasformava le cellule immunitarie in killer di cellule tumorali. Poche settimane dopo, i medici ricevettero Olson per aggiornarlo sui suoi progressi. E lui di quel colloquio ricorda ogni singola parola: "Doug, non troviamo più una singola cellula cancerosa nel tuo corpo", gli dissero i dottori. E ancora oggi, a 10 anni di distanza, Olson, così come un altro paziente trattato con Car-T, rimane in remissione. "Le cellule immunitarie ‘ingegnerizzate’ continuano a pattugliare il loro sangue - conferma il professor Biondi -. Questi casi rappresentano una testimonianza della possibilità di ottenere risposte di lungo termine dei linfociti Car-T e forniscono informazioni sulla durata degli effetti del trattamento".

Le cellule modificate hanno continuato a dimostrare la capacità di uccidere le cellule tumorali e hanno mostrato una proliferazione continua. E questo "ci porta a pensare che stiamo procedendo sulla strada giusta - l’impegno di Biondi -. Dimostra, infatti, che è possibile ottenere delle remissioni a lungo termine sia nella malattia in cui per prime le cellule Car-T sono state sperimentate, ovvero la leucemia linfatica cronica, sia nella malattia di cui ci occupiamo al Centro Maria Letizia Verga, la leucemia linfoblastica acuta".

Per cui proprio a Monza è stata messa a punto - insieme con i ricercatori del Papa Giovanni XXIII di Bergamo - una strategia sperimentale CAR-CIK che si basa sull’impiego di linfociti di donatori compatibili e di tecniche di ingegnerizzazione semplificate e meno costose rispetto a quelle utilizzate per produrre le CAR-T, che non prevedono l’impiego di vettori virali ma di particolari sequenze di Dna definite "mobili".