Omicidio di Astrit Lamaj, il pentito: "Carmelina voleva ucciderlo per vendicarsi"

Il pentito Carmelo Arlotta parla del movente e della mandante del delitto

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di Stefania Totaro

"Carmelina piangeva e diceva che Astrit le aveva rubato gioielli per 100mila euro e che lo voleva ammazzare. La cosa non mi tornava e ho capito che il discorso era un altro, quello della gelosia e della vendetta perché l’aveva lasciata. Le ho proposto di recuperare i gioielli ma lei lo voleva ammazzare e basta". Queste le parole pronunciate in aula dal pentito Carmelo Arlotta, al processo davanti alla Corte di Assise di Monza per l’omicidio di Astrit Lamaj, l’albanese scomparso a 42 anni nel gennaio 2013 e rinvenuto cadavere nel gennaio 2019 dentro un pozzo artesiano del residence in ristrutturazione “Villa degli Occhi” a Senago. Alla sbarra 2 dei 5 accusati, Francesco Serio, 45enne residente a Muggiò cugino di Arlotta, che deve rispondere di omicidio volontario premeditato, soppressione di cadavere, droga, armi e furto d’auto e Cosimo Mazzola, 54enne anche lui muggiorese, imputato di soppressione di cadavere e droga. Per il collaboratore di giustizia, l’albanese è stato attirato con la scusa di una compravendita di marijuana in un box in via Montegrappa a Muggiò, stordito con un corpo contundente e poi strangolato con un filo di nylon ed è stata Carmela Sciacchitano, 63 anni, siciliana residente a Genova, la mandante dell’assassinio. "A Carmelina ho detto che se voleva le facevo avere una pistola e l’ammazzava lei - racconta Carmelo Arlotta - Poi l’ho convinta a prendere un appuntamento con l’albanese per un chiarimento, ma non l’ha mai fatto. Ho poi scoperto che di ammazzarlo ne aveva parlato con quelli del mandamento mafioso di Riesi". Il pentito ha ricostruito l’omicidio. "Quella mattina mi ha telefonato il mio compare Beppe Cammarata e mi ha detto di passare da lui. Sono andato subito senza neanche chiedere perché. Con Cosa Nostra, se ti dicono di andare che è importante, lasci di dormire, di sposarti, pure di seguire tuo figlio in ospedale. Lasci tutto e vai. Ho telefonato a mio fratello Angelo e lui mi ha detto che avevano chiamato anche lui e che stava arrivando con nostro cugino. Arrivato in via Montegrappa, mio fratello stava scendendo nel box dove c’era la Golf di Beppe metà fuori dal garage. Lui è entrato nel box per primo, poi è uscito e sono entrato io. Dentro c’erano Beppe e l’albanese. Appena ho salutato, Beppe ha dato all’albanese un paio di bastonate per stordirlo, poi ha preso un laccio di nylon, l’ha fatto mettere in ginocchio e l’ha strangolato. Io tenevo fermo l’albanese e ho anche aiutato Beppe a stringere il filo attorno al collo perché si stava facendo male. Ero arrabbiato perché non mi avevano avvisato di quello che volevano fare, ma mi è stato detto di caricare l’albanese in auto e farlo sparire". Secondo Arlotta "se ne sono andati tutti, uno ha portato via l’auto dell’albanese. Sono uscito a chiamare mio fratello, che se ne stava andando con nostro cugino e ho richiamato anche Beppe dicendogli che, se non tornava ad aiutarmi, me ne andavo pure io. Nel box c’era un cellophane, l’abbiamo avvolto e messo nel cofano della Golf.

Angelo e Franco erano sul passo carraio. Mi sono messo alla guida e ho detto a mio fratello di seguirmi. Quel giorno a Muggiò c’era il mercato. Ho raggiunto la casa che avevo dato a mio cugino, un appartamento in una casa di corte in via XXV Aprile e con l’aiuto d Franco ho scaricato dentro il corpo e l’abbiamo avvolto in una coperta e poi in un sacco della spazzatura e l’abbiamo lasciato lì. Il problema era come disfarsene. Mi è venuto in mente che c’era il vecchio pozzo artesiano di Villa degli Occhi. Quell’edificio l’ho ristrutturato io". "Francesco Serio ha sempre negato di avere partecipato all’omicidio", commenta la sua avvocata, Roberta Minotti.