STORIE DI BRIANZA - Rivolte ed evasioni, anni caldi in via Mentana

Lo storico carcere di Monza protagonista nel 1970 di due clamorosi episodi che misero a dura prova le forze dell’ordine

La scena della fuga nel celebre film “Le ali della Libertà”:

La scena della fuga nel celebre film “Le ali della Libertà”:

Monza 22 marzo 2020 - "San Vittore in miniatura”. Titolano così alcuni giornali, nella memoria c’è ancora una rivolta, accaduta poco tempo prima a Milano, nella quale trecento detenuti avevano messo a ferro e fuoco il carcere milanese.

E desta scalpore quanto accade al vecchio carcere di via Mentana nel 1970. Sono anni turbolenti nelle carceri di mezza Italia, rivolte anche sanguinose si susseguono a ogni latitudine, parecchi detenuti rivendicano una riforma delle condizioni carcerarie. A San Vittore qualche settimana prima, appiccando il fuoco alla loro cella, tre detenuti vi avevano trovato la morte. Anche a Monza, nel vecchio carcere di via Mentana, va in scena una protesta clamorosa. Che non sfocia in tragedia soltanto – riconosce la stampa dell’epoca – per il “criterio” dimostrato dagli stessi detenuti.

Protagonisti della rivolta sono quattro giovani rinviati a giudizio per numerosi furti messi a segno in Brianza. Uno ha 21 anni ed è originario di Ceriano Laghetto, gli altri tre sono tutti di Limbiate e hanno 19, 20 e 21 anni e fanno parte di un’agguerrita banda che imperversa in Brianza mettendo a segno colpi ai danni di oreficerie, negozi di abbigliamento e di elettrodomestici. La ragione della loro rabbia è che tutti e quattro avevano fatto richiesta di libertà provvisoria, ma se l’erano vista rifiutare per ben sei volte.

Avevano deciso allora di fare lo sciopero della fame e rifiutare per protesta le periodiche uscite per l’ora d’aria concesse ai detenuti. Quando si erano accorti però che le loro proteste non erano servite a smuovere nulla, ma anzi non ne era trapelata notizia al di fuori delle mura carcerarie, avevano deciso di alzare il tiro. E di fare qualcosa che costringesse la società civile ad accorgersi di loro. Si erano dunque barricati nella loro cella e, pur indeboliti dal lungo digiuno dovuto allo sciopero della fame, i quattro compagni di prigionia avevano infranto i vetri della finestra della cella e, dopo averne messi in bocca alcuni frammenti Minacciando di ingoiarli, si erano serviti di alcune schegge appuntite per ferirsi cercando di dimostrare, in questo modo, l’urgenza delle loro istanze.

 E avevano anche appiccato il fuoco a della carta ammucchiata in un angolo della cella, emulando i tre sventurati giovani morti poco tempo prima a San Vittore. Anche se nel loro caso, per fortuna, ai primi colpi di tosse provocati dal fumo che si era sprigionato nella cella avevano deciso di spegnere il fuoco prima che si propagasse in maniera irreparabile. Scattato intanto l’allarme, sul posto si erano precipitate le autopompe dei vigili del fuoco di Monza, Lissone e Sesto San Giovanni, mentre l’area veniva circondata da carabinieri e poliziotti. Si erano aperte lunghe ed estenuanti trattative con magistrati e funzionari delle forze di polizia, sino a quando i quattro rivoltosi avevano accettato di mollare la presa e di aprire la cella accettando la visita dei medici e il trasferimento all’infermeria, dietro la promessa che le loro richieste sarebbero state valutate per la settima volta.

Non era servito a nulla. Alla fine il sostituto p rocuratore incaricato di occuparsi del caso si era opposto alla loro scarcerazione considerata la pericolosità sociale che avevano dimostrato con la loro condotta. E furono mesi particolarmente caldi quelli a cavallo del 1970 per il carcere di via Mentana, dove si era registrata anche la clamorosa evasione di due pericolosi detenuti, in attesa di rinvio a giudizio davanti alla Corte d’Assise di Milano per rispondere di sanguinose rapine a mano armata e tentato omicidio. Il più anziano di loro, un 29enne, dopo l’ultimo colpo commesso poche settimane prima, era stato catturato al termine di un’avventurosa caccia all’uomo in centro a Milano. Già pregiudicato, doveva scontare quattro anni per rapina. Il suo compagno di fuga, di 21 anni, era stato invece arrestato nell’aprile precedente in seguito alla rapina a un orefice di Bovisio Maciago. Aveva già al suo attivo la partecipazione a una rapina a Cusano Milanino e un altro assalto a mano armata con sparatoria ai danni di un orefice di Turate, in provincia di Como.

Entrambi in carcere a Monza, erano riusciti a guadagnarsi la fiducia della direzione del carcere, in virtù della loro buona condotta, che aveva garantito loro una certa facilità negli spostamenti. Avevano però ben altro in testa: avevano infatti escogitato un piano di fuga nei minimi particolari. E così una sera, poco dopo le 20, erano riusciti a introdursi nel cortiletto adibito alle passeggiate per l’ora d’aria. Quindi, complice la più completa oscurità, si erano arrampicati sul muro della palazzina - alta un piano - e avevano raggiunto il tetto del carcere senza che la sentinella sugli spalti notasse nulla. A quel punto, dopo aver attraversato il tetto in tutta la sua lunghezza, avevano raggiunto la facciata anteriore dell’edificio. Qui, dopo aver legato una fune a un comignolo, si erano lasciati scivolare nel più assoluto silenzio. Si era poi scoperto che i due detenuti avevano fatto ricorso a una rudimentale fune fatta da strisce di coperte di lana e lenzuola, che si erano preparati impiegando chissà quanti giorni.

Una volta raggiunta la libertà, si erano dileguati facendo perdere le proprie tracce. Come in film quali Fuga da Alcatraz o Le ali della libertà , la loro assenza era stata notata soltanto la mattina successiva da una guardia carceraria, che aveva avvertito immediatamente il direttore del carcere. A quel punto era scattato l’allarme generale e sul posto erano piombati agenti di polizia e carabinieri, che avevano organizzato posti di blocco su tutto il territorio. Dei fuggitivi, però, non era stata alcuna traccia.