Bernate, quei braccianti massacrati oltre 100 anni fa per un tozzo di pane

Una storia di rivendicazioni e prevaricazioni all'inizio del Novecento

La chiesa di Bernate

La chiesa di Bernate

Arcore (Monza e Brianza), 3 dicembre 2017 - C’ERA UN TEMPO in cui la Brianza era terra di braccianti e contadini. Un tempo non lontano in cui il paesaggio era dominato da campi di frumento, granoturco, avena, la vita dei contadini sera soggetta all’alternarsi delle stagioni, ma anche alla durezza di fittavoli spietati, impermeabili a ogni richiesta che potesse migliorare condizioni di vita difficili e salari spesso da fame. Erano gli inizi del Novecento, anni di grandi rivolgimenti e lotte sociali: in molti paesi della Brianza i braccianti sono in agitazione per ottenere, come scrivono le cronache dell’epoca, «qualche miglioria ai patti colonici in corso».  A prendere le loro difese erano spesso soltanto i preti. 

Così accade in questa storia, che vede scontrarsi un padrone spietato con decine di contadini difesi da un curato di campagna. Nell’agosto del 1901 fra Arcore e Velate, nel piccolo borgo di Bernate, c’è un parroco – don Lovati - che si è preso a cuore le sorti delle sue “pecorelle”. E c’è un fittavolo, tale signor Nova, che sbuffa coriaceo e insofferente a tutte le richieste che gli vengono fatte. E l’intervento di un sacerdote non fa che esacerbare il suo animo: «Non voglio saperne di preti – fa sapere a chi bussa alla sua porta – specie in questioni che non riguardano che me e i miei coloni!». Dinanzi a questa durezza il parroco è costretto a fare un passo indietro, sperando che possa quantomeno servire a non peggiorare le cose, ma i contadini, giunti finalmente al cospetto del Nova, restano letteralmente a bocca asciutta: il fittavolo, al posto delle migliorie richieste, risponde minacciando sfratti e denunce alle pubbliche autorità contro i suoi contadini.

Dove il prete non può nulla, i contadini decidono a quel punto di cercare soccorso nel sindacato.  Niente socialisti, però, per carità, siamo nella “bianca” Brianza e a difendere gli interessi dei contadini c’è la Lega Cattolica del Lavoro di Monza. Alla porta del Nova si presenta dunque tale ragionier Scevola, un rappresentante della Lega che si è preso particolarmente a cuore la questione dato che si è reso conto subito che i contadini che si sono rivolti a lui versano in condizioni davvero difficili, si ritrovano a lottare per poco più che un tozzo di pane. La risposta del fittavolo è però ancora una volta spietata: non ha alcuna intenzione di trattare con nessuno. Prete o meno. Il fuoco cova ormai sotto la cenere e la situazione è pronta ad esplodere.

LO SCIOPERO E GLI ARRESTI - I contadini esasperati dichiarano lo sciopero. E per un mese incrociano le braccia, mentre la Lega prova intanto a trovare una mediazione, anche se il Nova fa di tutto per esacerbare gli animi mandando addirittura a chiamare altri lavoratori provenienti da fuori paese. La Lega si rivolge allora al sottoprefetto di Monza perché metta una buona parola. E la speranza che le trattative possano andare a buon fine sembra farsi strada fra i contadini. Ma è solo un’illusione, e la situazione è presto destinata a precipitare. Nel sangue.

I coloni del Nova convincono certi carrettieri - non si sa con quali mezzi - a tirarsi indietro pure loro dal lavoro. La tensione sale alle stelle, e forse i contadini in sciopero, infuriati perché gente proveniente da fuori Arcore di fatto vanifica il loro sciopero mettendosi a disposizione del fittabile, ricorrono a modi un po’ spicci. Per tutta risposta, intervengono sedici carabinieri e vengono effettuati sette arresti fra i coloni, subito rinchiusi in carcere ad Arcore. Le mogli e i figli in lacrime, che provano a mettersi in mezzo invocando la loro liberazione, vengono «brutalmente caricati e feriti» ricorda Il Cittadino dell’epoca. Anche il ragionier Scevola si presenta dal sottoprefetto di Monza per ottenere la liberazione degli arrestati e la Lega provvede a soccorrere i feriti.

IL SANGUE - La gente di Bernate, da dove provengono i contadini arrestati, li segue fino alla caserma di Arcore, reclamandone la liberazione: quattrocento persone fra uomini, donne e bambini. I parenti piangono, la folla inerme staziona costernata davanti alla caserma. Il tenente dei carabinieri cerca con buone parole di persuadere quella povera gente a tornare a casa, ma un funzionario pubblico, alla fine, seccato alla loro insistenza, reagisce invece minacciandoli. Nella chiesa vicina il curato benedice i suoi parrocchiani e raccomanda la calma, ma la folla davanti alla caserma aumenta.

Ed è proprio in questi frangenti che la situazione esplode: da dietro alla coda di popolani si odono all’improvviso un grido e imprecazioni, e la folla subisce un «urto spaventoso». La spiegazione di cosa sia accaduto arriva subito: i carabinieri a piedi e quattro militari a cavallo erano usciti dalla caserma menando colpi e aggredendo la folla fin dentro i cortili e nelle case. Eustorgio Colombo, contadino di 19 anni, viene colpito dalla baionetta di un fucile nel suo cortile dove si era rifugiato.

E nello stesso cortile il vecchio contadino Angelo Colombo, 72 anni, mentre tra lo spavento generale porta in salvo su per le scale un bambino, viene colpito da un altro carabiniere al braccio sinistro. Gli altri feriti che si registrano alla fine degli scontri sono tutti di Bernate, tutti e tre colpiti alla testa: Angelo Sanvito, 12 anni, Eugenio Bestetti, 25 anni, e Luigi Calvio, 55 anni. «Fu una scena selvaggia» scrivono i giornali. Gli arrestati vengono poi portati a Monza e Bernate si ritrova il mattino successivo invasa dai soldati. Non sappiamo come andarono a finire le cose. Le cronache dell’epoca tacciono, forse il rumore della vicenda, nella “serena Brianza”, era destinato a venire sepolto in nome di una pace sociale che non ammetteva eccezioni.