Bambino rapito dalla madre e portato in Siria: "Così abbiamo salvato il piccolo Alvin"

Il generale monzese Giuseppe Spina direttore dello Scip alla testa dell’operazione che ha portato al salvataggio del profugo in Siria

Il generale Giuseppe Spina

Il generale Giuseppe Spina

Monza, 12 novembre 2019 - "Una storia bellissima che va dritta al cuore di tutti coloro che vi hanno lavorato". Aver riportato in Italia sano e salvo Alvin Berisha, il ragazzino albanese di 11 anni rapito dalla madre cinque anni fa per trasformarlo in guerrigliero dell’Isis, è una delle soddisfazioni più grandi avute in 37 anni di carriera da Giuseppe Spina, 57 anni, Generale di Brigata dei carabinieri e direttore dello Scip, il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia. E dire che nella sua carriera Spina aveva firmato nel 2010 - quando era ancora alla guida del Gruppo di Monza dei carabinieri - l’operazione Infinito (oltre 300 arresti di ’ndranghetisti, una cinquantina solo in Brianza). E mesi fa, già allo Scip, era alla testa dell’operazione che aveva portato all’arresto dell’ex terrorista Cesare Battisti in Brasile. Ora si parla di tutt’altro, perché Giuseppe Spina, uomo di poche parole, conosce perfettamente tutti i retroscena e i tranelli che si nascondevano dietro un’operazione di polizia senza precedenti.

In che senso? "Per la prima volta un’operazione di polizia ha utilizzato un canale umanitario, in questo caso si è appoggiata alla Croce Rossa e alla Mezzaluna Rossa. Senza di loro, entrare nel campo profughi di Al Hol, in Siria, sarebbe stato impossibile".

Facciamo un passo indietro. "Tutto è cominciato a metà agosto, quando ci è giunta notizia che Alvin poteva essere in quel campo".

E sua madre? "Presumibilmente era morta sotto un bombardamento, assieme al suo nuovo compagno e ai loro due figli. Alvin si era invece salvato, miracolosamente, rimanendo ferito a una gamba".

Però... "Dovevamo essere certi che si trovasse proprio lì: il padre aveva rimediato le fotografie di un ragazzino da quel campo profughi ma le abbiamo dovute mettere a confronto con un’immagine di quando era piccolo. È stata necessaria una comparazione fisiognomica che dimostrasse che si trattava proprio dello stesso bambino".

Quando siete partiti? "Il 30 ottobre siamo andati sul posto ed è cominciata la missione esplorativa".

La svolta? "Dopo alcuni giorni Francesco Rossa, presidente della Croce rossa, è riuscito a rompere lo stallo. E Alvin è uscito: ad attenderlo c’erano i nostri mezzi, che lo hanno portato prima a Damasco e poi a Beirut".

Quali erano le difficoltà? "Si tratta di una zona molto instabile della Siria".

I momenti più critici? "Le cose si sono complicate dopo la decisione degli Americani di fare un passo indietro e l’ingresso delle truppe turche. E quando è stato ucciso al-Baghdadi".

E i Curdi? "Erano in una situazione molto difficile, costretti a spostarsi verso est. E diffidenti visto come stava mutando lo scacchiere politico".

Alla fine tutti i tasselli sono andati al loro posto. "Per la prima volta si è riusciti a portare al sicuro oltre le linee un piccolo orfano. In quel campo, in cui vivono circa 70mila persone, almeno 26mila sono ragazzi e 7mila di loro sono orfani minorenni. Con Alvin abbiamo dimostrato che si possono portare a casa. Finora non era stato così, spesso ci veniva risposto che era impossibile: ecco, l’Italia ha creato un precedente".

Ha mai incontrato il piccolo? "Sono sempre rimasto nelle retrovie, ho fatto da cabina di regia fra i diversi attori in campo, ricordiamo anche il Governo albanese".

Dicevamo, Alvin. "L’ho visto, ma solo da lontano. E vedere abbracciare il bambino dalle sue due sorelle e dal padre è stata una grande emozione".

dario.crippa@ilgiorno.net