Auto cannibalizzate, i ricambi venduti pure all’estero

Rubate a Milano e smontate in un capannone brianzolo: l’indagine dura da mesi ma è solo all’inizio

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Un giro d’affari costante, con una rete di acquirenti che arrivava fino all’estero. I pezzi di ricambio ricavati dalle auto rubate a Milano e smontate nel capannone di Mariano alimentavano un mercato parallelo che garantiva risparmi a un numero ancora non quantificato di autofficine. È uno degli aspetti ancora da approfondire dell’indagine condotta dalla Polizia stradale di Como e Milano, coordinate dal sostituto procuratore di Como Massimo Astori, sfociata martedì in 9 arresti per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio. L’ordinanza di custodia cautelare ha portato in carcere i fratelli Enrico e Giovanni Morellini, rispettivamente 56 anni di Cantù e 64 anni di Capiago Intimiano, Roberto Gioffreda, 53 anni di Cabiate, Vincenzo Amoruso, 42 anni di Sesto San Giovanni, domiciliato a Limbiate, Mohammed Hachimi, 41 anni residente a Monza, Elsayed Ibrahim, 33 anni di Milano, Mohammed Tabit, 43 anni residente a Inverigo, Youssef Ezziyani, 30 anni e Abdelhakim Markoni, 34 anni, entrambi residenti a Milano. Se da un lato non è stato possibile al momento individuare chi guidasse le auto rubate a Milano e portate a Mariano nel capannone dei Morellini, sempre scortate da staffette, dall’altro lato gli accertamenti sulla destinazione e il giro di acquirenti di quelle decine di pezzi di ricambio avrebbero già dato esiti interessanti. A Desio l’officina di Hachimi dove avveniva parte del riciclaggio è stata messa sotto sequestro: al suo interno oltre venti auto, su cui sono in corso verifiche. L’indagine è solo all’inizio.

Pa.Pi.