STORIE DI BRIANZA - Quando vennero a Monza a uccidere il re

La ricostruzione dell'attentato avvenuto 119 anni fa a opera di Gaetano Bresci

L'attentato fu effettuato al termine di un saggio di ginnastica

L'attentato fu effettuato al termine di un saggio di ginnastica

Monza, 16 giugno 2019 – Una vecchia cella. Nel 1964 viene abbattuto un edificio in via Cortelonga, al numero civico 9, in pieno centro storico. La vecchia casa, che sorge di fronte all’ingresso del teatro Ponti, oggi cinema Teodolinda, non è però una casa normale. Sino al 1902 ospitava la tenenza dei carabinieri di Monza. E anche se ormai i carabinieri si erano spostati in via Volturno, dove hanno sede tuttora, in quel pezzo di casa fino al 1964 sopravvivevano le vecchie celle di sicurezza. Chi le ha viste rammenta il massiccio portone, gli spioncini, i robusti catenacci, ormai impolverati e dimenticati.

Sui muri delle celle restavano ancora leggibili alcune delle vecchie scritte lasciate da chi vi era stato rinchiuso. E in mezzo a frasi smozzicate e a nomi ignoti ai più, compariva anche una scritta scolpita nell’intonaco, dal significato inequivocabile: “Morte al Re”.

Sapendo che quelle celle erano state dismesse nel 1902 e che appena due anni prima vi era stato rinchiuso l’anarchico Gaetano Bresci, catturato appena dopo aver ucciso a Monza il re Umberto I di Savoia, è facile dunque immaginare che l’autore di quella frase fosse stato proprio lui. L’anarchico venuto dall’America.

Nascita e formazione di un anarchico.

Nato a Prato nel 1869, figlio di contadini, fratello di un tenente del Regio Esercito, Gaetano Bresci entrò in un circolo anarchico ad appena 15 anni. A 23 anni si guadagnò i primi 15 giorni di carcere per aver insultato alcune guardie che stavano multando un fornaio per aver tenuto aperto la bottega oltre l’orario stabilito. Erano anni difficili, quelli, e in un’Italia che ribolliva furono varate leggi speciali. E così il filatore Bresci nel 1895 si ritrovò prima schedato come “anarchico pericoloso” e poi confinato a Lampedusa. Una volta libero, nel 1898 Bresci decise di emigrare negli Stati Uniti, a Paterson, New Jersey, dove trovò lavoro e si mise da subito a frequentare la comunità anarchica degli emigrati italiani. Un emigrato dotato di un certo fascino, donnaiolo, capace di parlare correttamente l’inglese, possedeva una macchina fotografica e in virtù di una discreta cultura interagiva parecchio con la comunità anarchica americana.

A Monza per vendetta

La sua storia si incrocia con quella di Monza all'inizio del 1900. Sono anni duri quelli con cui si chiude l’Ottocento in Italia, anni di miseria e di fame, di repressione spietata.

A Milano, nel 1898, in seguito all’aumento del prezzo della farina, esplode la cosiddetta “rivolta del pane”: i forni vengono presi d’assalto ma l’insurrezione è repressa nel sangue: il generale Bava Beccaris ordina di sparare sulla folla prendendola a cannonate. Ufficialmente muoiono 80 persone e altre 450 vengono ferite, secondo molti però le vittime furono almeno 300. E il sanguinario generale? Re Umberto lo insignisce con la croce dell’Ordine militare di Savoia. Inconsapevolmente, il sovrano ha appena firmato la propria condanna a morte.

Per vendicare l’eccidio e l’onta di quel riconoscimento, Gaetano Bresci decide di andare ad uccidere personalmente il re. Con quel proposito in testa, torna in Italia dall’America dove era migrato. È il 1900.

Bresci viene a Monza, dove trova alloggio da un affittacamere in via Cairoli 14, non lontano dal centro e dalla stazione ferroviaria. Tracce del suo passaggio emergeranno anche in un bar di via Carlo Alberto e in una trattoria di La Santa, nucleo originario dell’odierna Villasanta. Inizia a studiare minuziosamente i movimenti del sovrano, che dal 21 luglio ogni estate soggiorna d’abitudine alla Villa Reale. Bresci, che si è allenato a dovere nel tiro con la pistola, è pronto, e l’occasione gli si presenta il 29 luglio, quando il Re d’Italia assiste a un saggio ginnico alla Forti e Liberi. Cronache e atti giudiziari ricostruiscono le ultime ore a Monza di Bresci, i quattro gelati consumati spasmodicamente – fa un caldo torrido quel giorno – in una gelateria di corso Milano. Il pranzo in compagnia di uno sconosciuto al Caffè del Vapore, fra l’allora via Balossa e corso Milano. La sera dell’attentato, dopo aver premiato personalmente i ginnasti, il re si appresta a tornare alla Villa Reale: alle 22.35, la sua vettura si muove. Pochi secondi più tardi, dalla folla assiepata, spunta però Gaetano Bresci con la sua rivoltella. Spara tre volte contro il re (ma verranno ritrovati quattro bossoli, uno conficcato nella carrozza) e lo colpisce mortalmente. La folla è inferocita, Bresci rischia il linciaggio, finché i carabinieri lo traggono in salvo arrestandolo. "Io non ho ucciso Umberto. Io ho ucciso il Re. Ho ucciso un principio" spiegherà dopo l’arresto. Ed è in quell’occasione che il regicida viene rinchiuso nelle camere di sicurezza della caserma dei carabinieri di Monza. Come andrà a finire, lo ricordano gli atti. Non è facile occuparsi di una materia bollente come un regicidio tanto che al processo, per prudenza, il leader socialista Filippo Turati rifiuta di difendere Bresci. In Italia comunque la pena di morte non è più in vigore e Bresci viene condannato “alla pena dell’ergastolo, di cui i primi sette anni in segregazione cellulare continua”. Recluso dapprima a San Vittore a Milano, viene quindi trasferito nel carcere sull’isola di Santo Stefano. E qui, il 22 maggio 1901, viene trovato morto nella sua cella dalla guardia carceraria incaricata di sorvegliarlo a vista. Impiccato alle sbarre con un lenzuolo. O un asciugamano. Suicidio? Altri detenuti racconteranno una storia differente: tre guardie avrebbero fatto irruzione nella cella, avrebbero immobilizzato Bresci buttandogli addosso una coperta e lo avrebbero massacrato a pugni. Succedeva all’epoca con certi detenuti. Anni dopo lo sostenne anche Sandro Pertini, futuro Presidente della Repubblica.

Altre piste e… la Cappella Espiatoria

Fra le ipotesi sull’attentato ci fu anche quella che Bresci non agì da solo ma che a muoverlo fu un complotto internazionale finanziato da Maria Sofia di Borbone, detta la Regina degli Anarchici

Dopo l'attentato, in via Matteo da Campione nel 1910 venne edificata la Cappella Espiatoria per volontà della regina Margherita di Savoia e del nuovo re d’Italia Vittorio Emanuele III nel punto esatto in cui fu ucciso Umberto I

Il grande giornalista Indro Montanelli raccontò in un suo libro che Ezio Riboldi, primo sindaco socialista di Monza, fece visitare la Cappella a un giovane collega di partito, Benito Mussolini. Quest’ultimo, giovane e allora ancora intriso di simpatie anarchiche, con un sasso appuntito avrebbe inciso sulla cancellata la scritta: "Monumento a Bresci".