"Scienza, cellule staminali, Ogm e sperimentazione animale: la ricerca non deve avere limiti"

Intervista alla scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo

Elena Cattaneo

Elena Cattaneo

Brugherio (Monza e Brianza), 11 maggio 2015 - La ricerca? Non deve avere limiti, a cominciare dall’uso delle cellule staminali embrionali. E del ricorso alla sperimentazione animale, di cui “non possiamo fare a meno”. A dispetto di un’Italia (e una politica) spesso ipocrita, che da un lato proibisce gli Ogm, dall’altro ne importa su scala industriale. Parlare con la scienziata Elena Cattaneo non è facile: un po’, perché sa essere schiva e spigolosa, un po’ perché predilige opinioni anche scomode. Sempre. Nata a Milano il 22 ottobre 1962, è senatrice a vita dal 2013, terza donna in Italia ad aver ricevuto tale carica. L’ultima, era stata Rita Levi Montalcini. Vive a Brugherio da oltre trent’anni, ha una laurea in Farmacia, un Dottorato in Biotecnologie Applicate alla Farmacologia e una considerevole esperienza al M.I.T., il Massachusetts Institute of Technology di Boston, dove ha cominciato a lavorare sulle cellule staminali cerebrali. Un’attività che ha continuato anche al suo ritorno in Italia, dove si è dedicata allo studio della malattia di Huntington, una malattia genetica neurodegenerativa. Intanto è diventata professore ordinario all’Università Statale di Milano ed è attualmente direttrice del laboratorio di Stem Cell Biology and Pharmacology of Neurodegenerative Disease. È anche cofondatrice e direttrice di UniStem, il Centro di Ricerca sulle Cellule Staminali dell’Università Statale di Milano.

Cos’è la ricerca? L’Italia ci investe abbastanza?

“La ricerca è l’anima di un Paese civile, una risorsa in grado di fornire prove e descrivere fatti utili a far funzionare le cose al meglio delle nostre possibilità. I risultati della ricerca sono pubblici, visibili, monitorabili, verificabili, di tutti. Da decenni l’Italia sottovaluta tutto ciò, con rare, microscopiche eccezioni. L’Italia è stata la culla della scienza e dell’umanesimo, ma ha perduto presto questa supremazia. Oggi si dà troppo spazio a idee strampalate. Questo umilia e disorienta il giovane studioso. Parallelamente, non esistono iniziative audaci di investimento in conoscenza. Un Paese che non fa ricerca resta indietro, culturalmente e, quindi, civilmente. Perde competitività e opportunità di progresso. In ogni disciplina, le grandi scoperte vengono da investimenti in ricerca di base. Ma serve coraggio per spingersi in quella direzione, e lungimiranza. Oggi la ricerca scientifica in Italia versa in una condizione molto difficile e stiamo assistendo anche alla scomparsa delle idee, con rare isole che sopravvivono”.

Qual è l’attività a cui si dedica in particolare? Perché ha deciso di occuparsi della malattia di Huntington?

“Mi interessava studiare quello che succede nelle cellule. È stato durante la mia esperienza al MIT di Boston che ho iniziato a lavorare con le staminali, erano i primi tempi, e mi aveva incuriosito la possibilità di studiarle per capire una malattia. Rientrata in Italia, ho indirizzato le ricerche sulla corea di Huntington, malattia neurologica e genetica. Uno dei nostri successi scientifici è stato l’aver capito che nell’Huntington ci sono alcune anomalie cerebrali come la riduzione di BDNF, fattore neurotrofico cerebrale, e di colesterolo. Stiamo lavorando con altri gruppi per normalizzare queste alterazioni. Ma vogliamo anche capire da dove arriva il gene che causa la malattia e perché lo abbiamo conservato. Un lavoro che ci sta riportando indietro nel tempo di milioni di anni, per seguire la strada che ha fatto quel gene. E’ una strada per poter essere di aiuto ai malati”.

La ricerca deve avere limiti?

“La scienza ci offre sempre prospettive di scoperta interessanti spesso accompagnate da dilemmi etici e sociali che devono essere presi in seria considerazione. È una condizione imprescindibile per costruire un rapporto tra scienza e società basato su trasparenza, integrità e coerenza di pensieri e comportamenti di chi fa scienza credendoci fino in fondo. Del resto è la nostra Costituzione a dirci che non ci possono essere limiti alla conoscenza. Sulle applicazioni ciascuno deve capire le implicazioni sociali di ciò che si rende disponibile ed è qui che il dialogo tra diverse discipline, ma anche il coinvolgimento del cittadino, diventa cruciale”.

Cosa pensa dell’uso delle cellule staminali embrionali: fin dove può spingersi l’uomo?

“Queste cellule hanno influenzato la mia vita professionale e le mie riflessioni sui rapporti tra scienza, politica e società. L’Huntington è una malattia genetica in cui muoiono neuroni. In laboratorio vogliamo produrre neuroni da staminali, per capire meglio la malattia e magari, un domani, per fare un trapianto terapeutico sperimentale. Stiamo lavorando per ottenere quei neuroni dalle staminali embrionali derivate dalla blastocisti umana sovrannumeraria e destinata alla distruzione. Non esistono altre cellule “fisiologiche” dalle quali poter partire per avere neuroni con le qualità necessarie. Con le staminali embrionali umane si sono aperte delle prospettive di ricerca inedite, i passi avanti sono stati straordinari. Non esiste staminale adulta capace di generare neuroni umani della qualità (e quantità) ottenuta dalle staminali embrionali. Contemporaneamente, si è aperto un dibattito etico su questo tipo di cellule. Offrire alla società nuovi pensieri e riflessioni, fa parte dei compiti della scienza. Ma mentre le polemiche crescevano, in laboratorio abbiamo iniziato a ottenere risultati, a dimostrare che queste cellule, istruendole, potevano essere trasformate in neuroni umani, il più possibile simili a quelli che stanno nel nostro cervello e a quelli che degenerano nella corea di Huntington. Altri le impiegano in studi per il Parkinson. Se sei uno scienziato, non puoi mentire facendo credere che puoi ottenere quegli stessi neuroni partendo per esempio da staminali adulte. Quindi fai le tue riflessioni e decidi cosa fare assumendotene la responsabilità. Ora ci sono anche le staminali pluripotenti indotte, un surrogato delle embrionali. Le studiamo in parallelo per capire il loro valore, ma non potranno facilmente sostituire le embrionali in ogni ambito della ricerca”.

Ha mai dubbi o pentimenti? Uno scienziato può averli?

“I dubbi sono continui anche perché ci si muove spesso in campi mai esplorati prima. Si affrontano sapendo di poter essere sulla strada sbagliata, lasciando che siano le prove e le evidenze a parlare, anche quando sono relative alle implicazioni sociali di ciò che si fa. A valle di un piano di lavoro ci sono mille riflessioni, solitarie e collettive. Mi ha sempre aiutato parlare e spiegare i perché di quel che faccio. È un modo per mettere in gioco i miei pensieri e le mie azioni. Parlare di embrionali staminali umane, quando nessuno lo faceva se non per demonizzarle, mi ha aiutato a capire meglio quanto fosse importante la libertà di ricerca e ad affermare, anche a me stessa, che non voglio tornare indietro, né fermarmi. Io voglio continuare a lavorare con queste cellule”.

Che rapporto hanno gli Italiani con la scienza?

“La nostra esistenza è strettamente legata al progresso della ricerca e della scienza. Nonostante questo, però, i risultati conseguiti vengono percepiti lontani dalla vita di tutti i giorni. Riconosco che la scienza ha difficoltà a entrare in empatia con i cittadini, spesso non trova il modo migliore per comunicare e raccontare fatiche, fallimenti e speranze che nascono nei laboratori. Ma credo anche che una parte della responsabilità sia della cultura politica. Se la politica non sa distinguere tra medicina e ciarlataneria, e mettere all’angolo con durezza la seconda, come possono i cittadini percepire il valore di chi è alla frontiera a conquistare nuovi pezzi di conoscenza affinché siano consegnati a tutti? I mezzi di comunicazione, poi, nel tentativo di semplificare un messaggio, trascurano particolari utili a far capire il processo e le motivazioni che guidano la ricerca. A volte, come nella discussione sugli Ogm, i fatti della scienza sono manipolati perché conviene fare passare messaggi diversi. E questo è terribile. Si ingannano i cittadini per mantenere i propri privilegi”.

Politici e scienza: cosa ne pensa, ora che si è trovata a frequentare il Parlamento?

“La scienza potrebbe essere la migliore alleata della politica, in quanto strumento per comprendere il mondo e le opportunità offerte dalle migliori conoscenze di oggi. In Aula spesso capita che colleghi senatori mi avvicinino per chiedermi chiarimenti su argomenti che vorrebbero approfondire. Cerco di essere utile mettendo a disposizione fatti e prove. Su alcuni temi una parte della politica ha altre priorità, come il gradimento degli elettori, che non sempre si sposano bene con la verità dei fatti. Contemporaneamente, mi accorgo anche di quanto sia importante la politica, di come il Parlamento sia la sede dove si prendono le decisioni cruciali per il Paese”.

Cosa pensa degli Ogm? Male o risorsa?

“È da oltre 15 anni che si susseguono studi e pubblicazioni scientifiche sulla sicurezza di piante geneticamente modificate, come il mais o il cotone Bt e la soia Ogm. Fino a oggi, non c’è una sola prova scientifica che permette di ritenere più pericoloso per la salute e l’ambiente l’uso di Ogm, rispetto alle coltivazioni tradizionali e biologiche. Inoltre, la sicurezza di cibi e piante ingegnerizzate è garantita da una serie di controlli a cui, ad esempio, i prodotti di agricoltura biologica non sono sottoposti. Le tragiche morti per ingestione di germogli di soia coltivata con metodi biologici in Germania dovrebbero essere un importante allarme. In Italia, dove è vietato coltivare e fare ricerca sugli Ogm, si importano ogni anno 4 milioni di tonnellate di soia geneticamente modificata e alcune delle nostre eccellenze alimentari, come Grana Padano e prosciutto San Daniele, vengono prodotte da animali nutriti con mangimi Ogm importati. In altre parole, importiamo quello che a noi è proibito produrre. E ai ricercatori pubblici è impedito di studiare migliorie in campo aperto. Significa mettersi in mano alle multinazionali che si vorrebbero contrastare vietando gli Ogm. E’ una strategia suicida e cieca. La bilancia agroalimentare italiana ha un deficit fisso di 4-6 miliardi di euro l’anno da decenni. Secondo la FAO, l’Italia importa ogni anno il 35% del mais, ossia 4,5 milioni di tonnellate di mais (o derivati) in parte anche transgenico. Il costo ammonta a circa 800 milioni di euro, soldi che passano dalle tasche degli imprenditori agricoli italiani a quelli esteri. A molti colleghi parlamentari contrari agli Ogm andrebbe chiesto a chi giova questa politica dello struzzo. È giusto quello che sostiene Confagricultura: se gli Ogm non si possono coltivare, non si deve nemmeno poterli importare e, inoltre, si deve chiedere anche di etichettare i derivati da animali nutriti con Ogm”.

Cosa pensa della sperimentazione sugli animali?

“Non possiamo farne a meno. Non esiste Paese al mondo con un minimo di regolamentazione sanitaria che non chieda fior di prove sull’animale prima di iniettare nell’uomo un RNA interferente che blocca un gene o un virus terapeutico o un farmaco o una cellula. Dove ci sono alternative alla sperimentazione animale gli scienziati (che sono quelli che lavorano per tutti e con l’immane fatica di farlo anche in Italia) le usano già. Quello che anche in questo caso manca a quella parte della politica che pone questi ulteriori ostacoli alla ricerca rigorosa, è il coraggio e l’onestà di spiegare ai cittadini che il blocco della sperimentazione animale significherebbe il blocco di qualsiasi sviluppo medico, per consegnarsi alle credenze del miraggio che un computer o un piattino di coltura ci possa, in 150 anni, far capire come curare l’Huntington, la SMA, la depressione o i disturbi alimentari”.

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