Lo storico russo: "Una poderosa offensiva diplomatica della UE che fermi la catastrofe"

Intervistato da Paola Olla, Valery Mikhailenko spiega: "La nostra leadership? Non ha un piano razionale, la ragionevolezza e la lungimiranza me li aspetto dagli europei"

Volodymyr Zelenski e Vladimir Putin

Volodymyr Zelenski e Vladimir Putin

Paola Olla* parla della guerra in Ucraina e dei suoi possibili sviluppi con Valery Mikhailenko, docente di Storia e Teoria delle relazioni internazionali, già preside di facoltà in un’importante università russa. Non un esule, la cui visione delle cose non potrebbe che essere parziale oltre che velleitaria, né un uomo del regime, le cui risposte sarebbero molto simili a quanto già letto e sentito in questi due mesi, bensì un intellettuale di chiara fama che vive e lavora in Russia. Una rara occasione, offerta dalla nostra rubrica "La lente dello storico", di sentire, dalla viva voce di un pensatore che vuole essere libero di "dire ciò che pensa", come l’"operazione militare speciale" sia vista nel Paese governato dal regime che l’ha lanciata.

Comincio con una premessa: questa conversazione non vuole essere una delle tante operazioni di "par condicio" volte a dar voce a un cittadino russo per dimostrarne l’asservimento alla propaganda di Putin. So che se tu dovessi varcare i limiti imposti dalle severe norme che nel tuo paese disciplinano la "libertà di espressione" rischieresti sanzioni pesantissime ma ciò non mi impedirà di farti osservazioni scomode. Da te mi aspetto che non le aggiri e che se proprio non puoi rispondermi ti limiti al silenzio. Promesso? "Il regime politico in Russia non ha raggiunto una forma totalitaria compiuta. Le leggi adottate possono riguardare qualsiasi opinione indipendente dalle posizioni assunte dal governo, ma sono selettive. Pertanto, mi assumo il rischio di dire ciò che penso. Se dovrò accendere l’autocensura, dirò: nessun commento".

L’intervento militare in Ucraina è presentato in Russia come "un’operazione speciale" per porre rimedio agli effetti devastanti nel Donbass causati dal mancato rispetto degli accordi di Minsk da parte Kjiv e per depurare il popolo ucraino dalla presenza inquinante di forze neo-naziste. Condividi questa versione dei fatti? "E che dire allora della proiezione russa in Moldova e in Transnistria? Anche questa è in opposizione ai neo-nazisti ucraini? La rappresentazione ufficiale della "operazione militare speciale" contro l’Ucraina è una costruzione mitologica ad uso dell’opinione pubblica interna. La vera causa della guerra ha a che fare con la mentalità dell’attuale leadership che crede di esorcizzare la dolorosa percezione del crollo dell’Unione Sovietica con l’aspirazione alla restaurazione dei confini imperiali russi".

La diplomazia di Putin accusa gli Stati Uniti di aver volutamente contribuito ad acutizzare la tensione con Kjiv per trasformare l’Ucraina nella punta avanzata di un premeditato accerchiamento militare della Russia. Quanto c’è di strumentale in questo argomento? "C’è anche del vero. Gli Stati Uniti e la stessa Unione europea hanno commesso molti errori, soprattutto negli anni ’90, quando la sola ambizione della leadership russa di allora era rendere possibile la nostra integrazione nell’Occidente. Hanno garantito alla nuova Russia la continuità come grande potenza nucleare ma non hanno sfruttato la loro influenza e le loro risorse per sostenerne la transizione democratica e la stabilità economica e finanziaria. Hanno respinto la nostra richiesta di entrare nella NATO ma vi hanno accolto gli Stati confinanti e stimolato anche le ex repubbliche come la Georgia e l’Ucraina a chiedere di farne parte. Si è trattato di errori fatali che hanno molto pesato nella costruzione delle relazioni tra la Russia e l’Occidente, caricandole della nostra frustrazione per il rifiuto e le umiliazioni subite e dell’inquietudine degli europei per le supposte aspirazioni revansciste del popolo russo quando ancora queste non esistevano".

Putin ha dunque trasformato le legittime rivendicazioni di sicurezza della nuova Russia in un revanscismo nazionalista e neo-imperialista? "Le une si legano all’altro. La peculiare percezione dei problemi di sicurezza esterna della Russia contemporanea conduce inevitabilmente la leadership di Mosca a una soluzione che passa attraverso il controllo dei territori adiacenti alla Russia". 

Ciò significa che all’origine dell’invasione non sarebbero il controllo del Donbass e la creazione di un corridoio terrestre per la Crimea ma un vero e proprio progetto di espansione che punta a congiungere la Russia con la Transnistria? "In realtà dopo la fine dell’URSS il problema di un assetto stabile di convivenza con l’Ucraina è sempre esistito. L’allargamento verso est della NATO e dell’UE è servito da fattore scatenante per risolverlo militarmente anziché con mezzi pacifici, utilizzando le potenti leve del "soft power" russo sulla società ucraina: la fratellanza con la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca, la vicinanza etnica, i numerosi legami familiari, gli agenti di influenza politici e culturali. In questo la leadership russa è stata totalmente incapace di competere con l’Occidente e di contrastare l’ingerenza degli Stati Uniti".

Il ricorso alla forza non sarebbe dunque la risposta a una provocazione ma il risultato dell’incapacità di Putin di usare i mezzi tipici del soft power. "Prima questa incapacità, poi i successi conseguiti con le guerre ibride nel Caucaso e in Crimea e con gli interventi in Siria hanno fatto privilegiare altri mezzi". 

Putin come poteva pensare che l’Ucraina, dopo lo scacco subito nella questione della Crimea, si sarebbe ancora una volta piegata? "L’analisi del Cremlino temo non tenga conto delle specificità e delle sensibilità degli stati-nazione sovrani appartenenti allo spazio post-sovietico. L’escalation delle ostilità non credo fosse stata prevista. L’attesa, a mio avviso, era di una facile passeggiata dei soldati russi accolti con i fiori in mano dal popolo ucraino finalmente liberato dalla persecuzione neo-nazista".

Come è possibile che il Cremlino abbia sottovalutato quanto era accaduto negli ultimi sette anni? La riluttanza di Kjiv ad applicare gli accordi di Minsk, il rafforzamento delle forze armate ucraine ad opera degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, la determinazione dell’UE ad accogliere l’Ucraina nella sua orbita, l’appoggio di Washington all’ascesa di Zelenski, le esercitazioni congiunte con la NATO. Cos’altro occorreva a Putin per capire che "l’operazione speciale" non sarebbe stata una passeggiata tra i fiori ma bombe, sangue e fango? Come ha potuto pensare che anche questa volta la NATO gliel’avrebbe fatta passare liscia? "Gli strateghi del Cremlino, ne sono convinto, non si aspettavano la resistenza che hanno trovato né che sarebbe successo proprio ciò che pretendono di aver voluto scongiurare. L’Ucraina si sta trasformando in un avamposto antirusso. La presenza armata della NATO lungo i confini occidentali della Russia si va rafforzando, infliggendo alla nostra sicurezza danni irreparabili. Cresce il numero delle vittime militari e civili da entrambe le parti e se questo piano inclinato non si arresta c’è il rischio di un allargamento del conflitto e perfino di uno scambio di attacchi nucleari".

La diplomazia russa ne ha parlato esplicitamente. È solo deterrenza o ritieni possibile che Putin, se messo alle strette, potrebbe usare in Ucraina armi nucleari tattiche? "Vorrei sperare che la diplomazia del mio paese ne parli soltanto per scoraggiare l’Ucraina e ricattare gli Stati che la supportano. Tuttavia, va tenuto presente che, ai sensi dell’articolo 27 della nostra dottrina militare, la Federazione Russa si riserva il diritto di utilizzare armi nucleari sia in risposta a un attacco della stessa natura (o con altri strumenti di distruzione di massa) rivolti contro di essa e/o i propri alleati, sia come risposta a un’aggressione con armi convenzionali se ritenuta un pericolo per l’esistenza dello Stato".

Il Segretario del Consiglio di Sicurezza Patrushev non ha escluso la possibilità di un uso preventivo delle armi nucleari in una guerra regionale e locale. Come dobbiamo prendere questo avvertimento? "Come una rassicurazione a beneficio interno ma anche come un tentativo di recidere il taboo su questo tipo di armi allo scopo di rendere plausibile la minaccia russa di potervi fare ricorso".

L’avvertimento va quindi preso sul serio. "Sono preoccupato per l’atteggiamento di Putin nei confronti del valore della vita umana. Spero, e mi aspetto, che nei paesi liberali sia più alto che in Russia. Nei suoi discorsi pubblici Putin usa cinicamente il nostro proverbio "nel mondo la morte è rossa" ("chi di spada ferisce, di spada perisce"). Nel 2018 ha dichiarato che il ricorso alle armi nucleari equivarrebbe a una catastrofe mondiale e che la dottrina di sicurezza della Federazione Russa non ne contempla l’uso preventivo. Ha però anche detto "Se saremo vittime di un’aggressione noi andremo in paradiso come martiri, ma l’aggressore morirà senza nemmeno avere il tempo di pentirsi". Nessuno può dire come si comporterebbe il Presidente se nell’attuazione dei suoi piani militari incontrasse ostacoli che valutasse "aggressivi"".

In Occidente si fanno molte ipotesi sul processo decisionale in Russia. L’impressione è che il nucleo centrale sia composto di fedelissimi di Putin, i quali, più che interloquire con il Capo, obbediscono ai suoi ordini. Putin decide da solo o qualcuno è in grado di influenzarne le scelte? "Putin ha creato una verticale del potere in cui l’unanimità è rigorosamente rispettata e qualsiasi dissenso categoricamente represso. Formalmente il centro decisionale è il Consiglio di sicurezza che include vertici militari, funzionari dell’intelligence, elementi del governo, scienziati, oligarchi. Quattro capi di istituzioni accademiche sono stati espulsi dal comitato scientifico del Consiglio di sicurezza per aver firmato una petizione internazionale in cui si chiedeva il cessate il fuoco in Ucraina. Non ci sono informazioni esatte su quali siano in questo momento le voci più ascoltate da Putin. Forse è Nikolai Patrushev. Viene dal KGB/FSB, come altri membri del Consiglio di sicurezza".

Come sta reagendo l’opinione pubblica russa agli avvenimenti in Ucraina e al progressivo isolamento della Russia? "Per due decenni, il regime politico ha educato le masse alla dicotomia amico/nemico. La "tolleranza" è condannata dall’autorità laica e dalla chiesa ortodossa come un concetto liberale occidentale estraneo alla società russa. Se il presidente personalmente proclama una campagna contro le "quinte colonne" (i dissidenti dall’operazione speciale), è impossibile calcolare il numero di persone che non approvano le sue scelte. I russi tradizionalmente non si fidano dello stato e ne hanno paura. Oggi è la paura il fattore unificante della società russa, non la morale né l’etica. La paura inoculata nei russi durante il periodo staliniano è tornata a dominare anche nelle relazioni personali".

Che possibilità hanno i dissidenti di spingere il popolo russo nella direzione di un cambio di regime? "Non ci sono autorità morali nel paese, nemmeno tra i dissidenti. L’approccio "amico o nemico" ha creato una struttura sociale molto instabile e rende precario anche lo stesso potere statale. Se, per qualche ragione, dovesse verificarsi un indebolimento di Putin e la gente smettesse di avere paura potrebbero crollare l’una e l’altra. Ma non bisogna farsi illusioni sui dissidenti contemporanei. Non hanno alcuna possibilità di influenzare il popolo nella direzione di un vero cambio di regime".

Vediamo se ho capito. Se per una malattia di Putin o per fattori esterni si creassero le condizioni per un rovesciamento di regime, il potere finirebbe nelle mani di gente ancor più pericolosa. È così? "Una "rivolta di massa", se dovesse accadere all’improvviso, potrebbe portare al potere forze con un’agenda più radicale ed estremista di quella dell’attuale regime. La retorica antiliberale e antioccidentale, le idee di un destino speciale e di una superiorità della civiltà russa hanno messo radici nella coscienza di tanti, nelle élites e nelle masse".

Le sanzioni sempre più severe disposte contro la Russia in che misura stanno creando problemi a Putin nella condotta militare? In che misura stanno colpendo la popolazione? "In Russia si sentono voci di politici irresponsabili che invocano l’autarchia. Non posso verificare le affermazioni di esperti militari secondo cui qualcosa smetterà di volare o sparare se cessa l’importazione di determinati equipaggiamenti. Quanto ai cittadini, le sanzioni cominciano ad agire sui prezzi e sulla diminuzione del potere d’acquisto. Si prevede un ulteriore aumento della disoccupazione e, col venire meno di prodotti di importazione essenziali, un progressivo collasso delle attività lavorative e della vita quotidiana. Faccio un esempio, nei grattacieli vengono utilizzati ascensori finlandesi e americani. Potranno facilmente essere sostituiti con una diversificazione delle importazioni? Non ne sono sicuro. E i pezzi di ricambio?".

Nell’incontro di Ramstein del 26 aprile scorso, 43 paesi hanno concordato un più massiccio supporto militare all’Ucraina con lo scopo dichiarato di fiaccare la Russia per spingerla alla pace. Johnson punta in realtà alla sconfitta militare dei russi e Biden si aspetta che ne consegua un cambiamento dell’attuale regime. Putin, dal canto suo, ha dovuto mettere da parte le illusioni iniziali. In termini di vite umane, reputazione, risorse finanziarie e sicurezza la Russia ha subito e subirà perdite in apparenza insopportabili. Quali potrebbero essere le sue prossime mosse? "Putin dovrebbe fermarsi e verificare se Zelenski sia disposto a concedergli un negoziato che metta sul tavolo una soluzione digeribile per entrambi. Non credo però che lo farà. Piuttosto deciderà di intensificare lo sforzo militare in Ucraina e forse di esasperarlo, anche col ricorso alla dichiarazione di guerra, confidando che possa favorire una spaccatura del fronte euro-atlantico e, possibilmente, una frantumazione delle posizioni in Europa la cui compattezza già è compromessa dai diversificati contraccolpi causati dalle sanzioni applicate alla Russia".

C’è anche una terza possibilità: che Putin sia preso dal "cupio dissolvi" tipico di chi è messo nell’angolo. "Sì, lo temo anch’io. Putin non vuole passare alla storia per aver ridotto la Russia nelle condizioni in cui è oggi ma per averne riscattato la grandezza e la dignità. Se si vedesse senza vie d’uscita, potrebbe essere irresistibilmente attratto dall’idea di un bagno di sangue catartico di livello planetario che trasfigurasse la sua sconfitta in un martirio".

La sensazione è di essere sull’orlo di un baratro. Che cosa potrebbe ancora fare l’Occidente, soprattutto noi europei che rischiamo di finirci dentro per primi, per arrestare questo pericolosissimo piano inclinato? "La leadership russa attuale non credo abbia un piano razionale con obiettivi finali definiti e se pure dovesse realizzarsi un cambio di potere, nulla credo che cambierebbe nella nostra politica estera se non in peggio. La razionalità, vista la rigidità dell’Amministrazione statunitense, me la aspetto dai governi occidentali dell’Unione europea. Immagino, seppure non se ne vedano i segni, che un progetto per una soluzione ragionevole del conflitto lo abbiano predisposto nel momento stesso in cui hanno scelto di partecipare all’operazione Porcospino lanciata da Biden e da Johnson per aiutare la resistenza ucraina. Spero soltanto che questo progetto sia realistico e lungimirante e che punti a una pace che non contempli il completo isolamento della Russia e soprattutto del suo popolo. L’esperienza della Germania di Weimar dovrebbe rappresentare in tal senso una lezione".

Un progetto di pace realistico e lungimirante? Per iniziativa di chi? "La questione ormai ha assunto la dimensione di una sfida globale combattuta per procura. Va oltre un accordo diretto tra Putin e Zelenski ma è dalla disponibilità di loro due a raggiungere un compromesso che occorre partire. La mia opinione è che debbano essere innanzitutto forzati al cessate il fuoco con un'"offensiva diplomatica" poderosa che non consenta a nessuno dei due di sottrarsi. L’iniziativa dovrebbe venire dall’Unione Europea accompagnata da una proposta che faccia riferimento a un nuovo ordine mondiale multilaterale in cui anche una Russia rinnovata possa aspirare al riconoscimento di un ruolo quanto meno regionale. Lo so è un’utopia, ma l’alternativa, come hai detto tu, potrebbe essere il baratro. La UE non è forse nata per costruire pace? Non ha vinto per questo un premio Nobel?".

Vorrei poter condividere il tuo ottimismo, ma mi riesce difficile. "Ti ricordi? Quando è caduto il Muro abbiamo entrambi sperato in un effetto domino che aprisse a un’Europa dall’Atlantico agli Urali come l’aveva immaginata De Gaulle. Chissà se questa suggestione non possa ispirare la diplomazia di Macron nella sua azione di presidente pro tempore della UE. Che male c’è nel sognare una pace che anche per un russo sia degna di questo nome?".

Grazie Valery per la tua sincerità. Spero tanto che qui sia apprezzata come merita e che lì da te passi invece del tutto inosservata.

*Storica delle relazioni internazionali, per tanti anni professore ordinario alla Università Statale di Milano

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