Shanghai resta prigioniera nella sua effimera libertà

Il lockdown più duro della Cina è finito, ma la situazione può cambiare ancora e il ricordo delle proteste rimane

Shanghai è la città più popolosa della Cina

Shanghai è la città più popolosa della Cina

A Shanghai sta finendo il lockdown e questa è la nuova puntata di Dieci. Una storia raccontata con video, foto e infografiche. Se stai leggendo da uno smartphone, clicca su > questo link < per goderti a pieno il prodotto. Altrimenti, inizia a sfogliare quello che vedi qui sotto.  

Non è facile definire dall'esterno cosa abbiano dovuto passare i 25 milioni di cittadini di Shangai nell'ultimo mese e mezzo. Le notizie che filtrano dalla cortina di censura e disinformazione alzata dal governo di Pechino dicono che dalla fine di marzo ad oggi il Paese ha vissuto un durissimo lockdown nel tentativo di limitare i contagi da Covid-19. Ma questa è solo una faccia della medaglia. L'altra, quella che il presidente Xi Jinping ha voluto nascondere agli occhi del mondo, racconta la sofferenza e degli enormi problemi di una popolazione messa in ginocchio dalle restrizioni.

Dal 1° giugno, le autorità locali hanno iniziato ad applicare tiepide riaperture alle attività commerciali, eliminando anche molte limitazioni al movimento delle persone. Ma i segni degli ultimi due mesi sono profondi, nell’economia della città e nella psicologia dei cinesi. Tant’è che in alcune aziende, per recuperare il tempo perduto, vengono imposti ritmi di lavoro disumani: “Da noi – spiega un’italiana che vive a Shanghai – si faranno turni da 12 ore per 6 giorni alla settimana”.

Le testimonianze dei cittadini durante il lockdown tratteggiano una sorta di dittatura sanitaria, dove non esistono diritti e mancano beni di prima necessità come cibo e medicine. Per molti non era possibile neppure uscire di casa, con i portoni dei palazzi sigillati e presidiati da guardie di volontari fedeli al regime.

“Alcune comunità sono state bloccate con catene ai cancelli, barricate e gabbie intorno alle porte di casa”, racconta un altro italiano che vive nella zona orientale della città. “La ricordo bene la mattina in cui i funzionari del governo hanno messo i sigilli alla porta di casa mia. Da quel momento, non sono mai più potuto uscire se non per fare, ogni due giorni, il tampone richiesto dalle autorità”.

Tutti i positivi, sia sintomatici che asintomatici, vengono trasferiti di forza in campi centralizzati, i «fang-cang», allestiti in fretta per l'emergenza, dove circa 20mila malati sono stati ammassati spesso in assenza di personale sanitario, senza alcuna privacy e con scarse condizioni igieniche. In un primo periodo, i bambini positivi al virus venivano separati dalle madri (quando negative) e portato nei campi. A seguito di un’ondata di proteste, alle madri è stato concesso di accompagnare i figli.

Ma la vera piaga di questo lockdown è rappresentata dall'accessibilità al cibo. Il repentino annuncio della chiusura totale ha aperto l'assalto ai supermercati che, in poche ore, hanno terminato la merce sugli scaffali. Questo, unito al progressivo allungamento della quarantena, ha messo sotto pressione il sistema di distribuzione cinese, offrendo il fianco alle speculazioni dei singoli commercianti che hanno iniziato a vendere alimenti di prima necessità a prezzi esorbitanti, rendendoli di fatto per pochissimi.

Questa situazione ha portato a ondate di protesta dei cittadini, sia sul web che per le strade delle città, finite però per essere insabbiate e represse dal governo. L’impiegato di un’azienda di Shanghai racconta che “sono stati creati video e notizie false sulla situazione della città, con persone che vivono una vita tranquilla con tanto di riprese di situazioni diverse in cui compaiono sempre gli stessi attori”.

“Il malcontento c’è”, afferma un’italiana che vive vicino al distretto del Bund. “Si sente nei gruppi, nelle condivisioni social: è forte. Vivo qui da sette anni e per la prima volta ho visto qualche protesta, sia nelle strade che sui social”. Nel muro di consenso di Pechino, s’intravede, forse, una crepa.

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