Il giallo dei 90 milioni di Saddam Hussein bloccati in Italia. L'Iraq li rivuole

A Roma l'incontro tra i ministri degli Esteri dei due Paesi. Di Maio promette aperture. Erano legati a forniture belliche mai consegnate

L'incontro odierno a Roma tra le delegazioni di Iraq e Italia

L'incontro odierno a Roma tra le delegazioni di Iraq e Italia

 L’Iraq chiede all’Italia di sbloccare circa 90 milioni di suoi fondi congelati a vario titolo nelle banche italiane. Sessanta risalgono a un vecchio accordo che Baghdad stipulò con Leonardo e Finmeccanica per l’acquisto di “armi e altre attrezzature”; altri 30 sono in “conti correnti” dell’ambasciata e di altri funzionari iracheni, ancora fermi. Fuad Hussein, vice premier e ministro degli Esteri iracheno, in questi giorni in Italia, ne ha discusso con Luigi Di Maio, che “si è impegnato a far avanzare la questione”. La situazione è bloccata da quasi trent’anni.

Hussein ne ha parlato come una ferita ancora aperta. “A causa dell’embargo imposto nel 1991” l’Iraq non ha mai ricevuto il materiale ordinato. E in Italia restano - congelati e inutilizzabili - altri 30 milioni iracheni: sono in conti correnti bancari intestati all’ambasciata della Repubblica d’Iraq e ad altri funzionari del Paese. “Dopo il 2003 l’embargo che aveva colpito il regime di Saddam Hussein è stato tolto e l’Iraq è tornato a essere un Paese sovrano”, ha spiegato l’ambasciatrice irachena in Italia, Safia Taleb al Souhail, a giustificazione della richiesta di Baghdad.

Incontrando la sua controparte italiana, Hussein ha posto il problema e una valutazione - ha precisato - sarà fatta in un prossimo futuro. Oltre ai tempi, bisognerà decidere in particolare in che modo l’Iraq potrà rientrare dei fondi in questione. “Vedremo se ci sarà lo sblocco delle armi acquistate o delle somme di denaro congelate”, ha detto il vice premier. Ma una cosa è certa: recuperarli “è un nostro diritto” e “aprire il dialogo era necessario per risolvere la questione”, ha aggiunto. Una questione, seppur spinosa, che comunque non dovrebbe avere ripercussioni sulla collaborazione tra i due Paesi.

Sono diversi i settori di cooperazione e molte le prospettive d’investimento straniero nel Paese. Molte aziende italiane già operano in Iraq e altre se ne potrebbero aggiungere in futuro: la “situazione della sicurezza” infatti ha fatto registrare “dei miglioramenti” anche grazie al contributo dei militari italiani, ha notato Hussein. Daesh “non è più uno Stato”, ma “è tornato alle sue origini”, “un gruppo terroristico” la cui ideologia “ha ancora qualche seguito nella società”. Insomma, “il pericolo esiste ancora”, ma “non è più uguale agli anni scorsi”, così Baghdad può pensare a rilanciare il suo sistema economico e finanziario.

“L’embargo internazionale dal 1991 al 2003 ha distrutto le infrastrutture economiche e culturali del Paese”, ha ricordato Hussein. “Adesso abbiamo bisogno di ricostruirle e l’Italia può giocare un ruolo molto importante” in questo processo. Agricoltura, turismo e gas offrono ampie possibilità di cooperazione. E non solo. “Abbiamo bisogno di ferrovie, strade, porti, energia elettrica”, ha confermato il vice premier. “L’Iraq non è solo petrolio”, anche se il il 90% del bilancio annuale iracheno si basa sui proventi petroliferi. “Abbiamo bisogno di investimenti esteri. Anche il settore privato è fragile e lo dobbiamo incentivare. Necessitiamo di know-how, di tecnologia”, ha insistito Hussein. “Le aziende italiane possono giocare un ruolo in questo senso”.

Per “incoraggiare gli investimenti, il turismo e i contatti con il mondo estero”, Baghdad ha deciso che ai cittadini provenienti dagli Stati membri dell’Ue saranno concessi i visti al loro arrivo nel Paese. Un provvedimento che avrà validità anche per tutti coloro che raggiungeranno l’Iraq da Canada, Australia, Russia, Stati Uniti, Cina, Giappone e Corea del Sud. Si tratta, ha precisato Hussein, di “un passo avanti per uscire dall’isolamento”.