Intervista: Putin e Zelensky, diversi ma uguali. Analogie e differenze nel comunicare

Entrambi puntano sulla propaganda. Ma l'ucraino sceglie il profilo "under dog", il cane bastonato che si attira le simpatie del passante

Putin e Zelensky, due maestri della comunicazione?

Putin e Zelensky, due maestri della comunicazione?

Putin in giacca e cravatta (o giubbone Loro Piana da 12mila euro), Zelensky in maglietta o mimetica. Il leader russo solo in tv o in uno stadio con pubblico locale, quello ucraino solo in videoconferenza con il Paese o con l’estero. Il primo virile, il secondo empatico. Ma quali sono le vere strategie di comunicazione dei duellanti? Quali le analogi e le differenze? Ne parliamo con Marco Marturano, (nella foto sotto), spin doctor e docente di comunicazione pubblica e giornalismo politico in master e corsi universitari.

Il professor Marco Marturano, spin doctor
Il professor Marco Marturano, spin doctor

Professore, modalità di comunicazione e propaganda sono spesso legate. Quali le differenze tra i due? “Comincerei dalle cose che hanno in comune. La prima è proprio la propaganda. Parliamo spesso di stili di comunicazione per i due leader. Ma la verità è che nessuno di loro la sta facendo davvero, la comunicazione” In che senso?

“La comunicazione esiste per creare l’opinione e per creare i dubbi, non dovrebbe avere mai l’obiettivo di creare certezze. Invece la propaganda sì. Il suo unico obiettivo è creare adesione alla propria parte. Io parlo a te perché tu stia con me. La propaganda non ammette mai il dubbio e questa è la prima cosa che li accomuna”. Una scelta precisa dunque? “Sì, entrambi partono dall’idea di unire per contrapposizione. Devono rappresentare il nemico nel modo peggiore possibile perché tu possa sentirti indignato e quindi spinto a stare con me. La Russia per Putin sta difendendo se stessa dai rischi antidemocratici che arrivano dalla destra ucraina. E lo stesso fa Zelensky, che ci viene a dire che loro sono la prima parte di un percorso di invasione dell’Occidente”.

Una richiesta di ingaggio in pratica. “Sì. State con me perché la cosa riguarda voi. Per fare una metafora calcistica, è come se noi interisti, per sentirci ancora più nerazzurri, dovessimo sempre pensare che la Juve rubi sempre. In realtà è un pezzo di propaganda. E poi c’è un altro elemento, oltre alla demonizzazione dell’altro, anche la definizione eroica di se stessi”.

Anche questa senza dubbio vale per entrambi.

“Una definizione di sé così enfatica li accomuna decisamente. La narrazione russa è che piena di episodi di eroismo sul terreno bellico, quasi tutti inventati. Se pensiamo all’assedio di Leningrado vediamo i tratti di questa postura comune ai due oggi. L’altra cosa che hanno in comune è questa: l’uomo forte. Nei Paesi occidentali si privilegia più il noi che l’io, qui è rimasta questa mitologia, senza la quale non ci troveremmo forse di fronte a una reazione militare ucraina come quella a cui assistiamo”.

Come uomo forte Putin lo conoscevamo, Zelensky no.

“Putin ci ha abituato nei decenni a quest’immagine che resta tale oggi, in guerra. Ci eravamo abituati al leadre che fa rapire, incarcerare e avvelenare i suoi avversari. E questa abitudine non è stata un bene per la democrazia, abbiamo digerito tutto come niente. Oggi Putin ostrenta tranquillità. Zelensky lo conoscevamo meno, ma certo uomo forte lo è diventato. E non sono elementi da poco”.

Vediamo allora le differenze tra i due.

“La prima sta in un codice di comunicazione visivo tra aggredito e aggressore. Zelensky è entrato nella parte che, per semplificare, vediamo nei film di fantascienza. Il conduttore, assediato in un luogo nascosto, che spinge il popolo contro l’invasione degli alieni. Il suo comunicare, da un ufficio segreto forse adattato da un set, è proprio un format personale che risponde a questa figura”.

A quali esigenze risponde?

"Quest’immagine si chiama “underdog” in comunicazione politica e ritrae quelli che sono in una condizione di svantaggio, le vittime insomma. Che devono comunicare da un luogo dove la comunicazione è difficile”.

Ma anche fondamentale.

“Certo, fondamentale per creare arruolamento. Ingaggio. In questo format, nel caso di Zelensky, mi auguro, l’ambiente potrebbe essere ricostruto da qualche parte, per sfuggire ai satelliti. Lui sta gestendo la resistenza di un intero popolo e il suo set deve essere il suo ufficio. Come il set dei nostri partigiani dovevano essere i boschi. E la mimetica fa parte del format del presidente guerriero”.

Putin invece è sempre in giacca e cravatta o griffato allo stadio.

“Questo perché non rappresenta l’aggredito, ma l’aggressore. Ma attenti. Nella sua narrazione rappresenta ancora se stesso, il capo di Stato della nuova democrazia della federazione russa, con la stessa serenità, tranquillità e positività di sempre. Quando fa uscire la notizia che il gas va pagato in rubli, la fa uscire come notizia economica, non di guerra. In questo risponde alla logica di propaganda verso il suo popolo ma anche verso l’esterno. E funziona, anche in Italia”.

Facciamo un esempio.

“Da noi ci sarà certo una quota di persone terrorizzate da una terza guerra mondiale, ma anche una quota di opinione sulla quale le parole di Putin hanno attecchito: in fondo si tratta di un’operazione di democratizzazione, perché gli aggressori erano la Nato (che voleva mettere sotto il suo cappello l’Ucraina), e gli Ucraini (governati da una specie di dittatura di estrema destra. Demonizzazioni, dunque, ma fatte sempre con il suo stile comunicativo istituzionale”.

In effetti anche da noi 300 parlamentari hanno snobbato Zelensky.

“E non a caso. Zelensky sta utilizzando tutte le tecniche della modernità. Noi abbiamo esaltato i social in questi anni, ma tuttora non c’è niente di così forte come il potere della televisione. Resta il mezzo che piglia di più la pancia”.

Ecco, a proposito. Di fronte a un Putin virile maschio alfa, Zelensky punta un po’ sulla fragilità o è un’impressione?

“Penso sia un’impressione dettata dai mezzi televisivi. Alla fine Zelensky rappresenta sì l’aggredito, ma non da una posizione di debolezza. Tant’è che l’espressione tipica della propaganda, che sentiamo fin dai tempi di Giulio Cesare, ovvero “gloria a...” non è un’espressione di fragilità. Ma di orgolglio e di forza. Zelensky sta dicendo ai suoi: noi siamo più forti di loro anche se siamo meno e vinceremo”.

E al resto del mondo?

“All’estero dice: noi siamo più deboli, ma INSIEME (e qui c’è l’ingaggio) possiamo essere la forza che riporterà la democrazia. Siamo aggrediti, ma siamo forti insomma. L’underdog è lo sfavorito nelle competizioni, nasce dall’immagine del cane che viene bastonato, e scappa. Ma che ingenera solidarietà nei propri confronti. Ecco il gioco del leader ucraino”.