Petrolio, uranio e terre rare: perché il Kazakistan è strategico. La mappa del potere

L'obiettivo della rivolta era l'81enne Nursultan Nazarbayev, dal 2019 non più formalmente presidente ma figura centrale. Il suo delfino Tokayev ha scatenato la guerra

Veicoli militari nel centro di Almaty

Veicoli militari nel centro di Almaty

Almaty (Kazakistan) - La sua statua tirata giù tra gli applausi dei manifestanti a Taldykorgan, tre ore da Almaty, è il primo simbolo a cadere. Dopo quasi trent’anni al potere, e dopo aver dato il suo nome alla capitale del Paese, Nursultan Nazarbayev, che dal 2019 non è più formalmente presidente, resta la figura centrale del potere kazako, e quindi l’obiettivo privilegiato della collera della piazza. Il suo delfino Kassym-Jomart Tokayev, che ne ha preso il posto, ha provato a placare la protesta privandolo del ruolo di presidente del Consiglio di sicurezza nazionale, altra carica nata con lui e che invece aveva mantenuto fino a ieri. 

Ma l’ombra dell’81enne leader che ha guidato il Paese sin dall’indipendenza del 1991, seguita al crollo sovietico, continua a proiettarsi su uno dei territori più importanti dell’Asia centrale, hub energetico al centro di forti interessi anche occidentali e banco di prova degli equilibri geopolitici tra Russia, Cina ed est Europa. Del resto, per rendergli omaggio quando tre anni fa ha ceduto la presidenza, ha cambiato nome anche la capitale Astana - che nel 1997 aveva sostituito Almaty, che resta la città più popolosa e il maggiore centro commerciale -, diventando appunto Nur-Sultan. 

Sfruttando le ricchissime risorse energetiche del Kazakhstan - poco più di 18 milioni di abitanti ma un territorio grande quanto tutta l’Europa occidentale -, Nazarbayev è rimasto sotto la tutela di Mosca ma ha accolto a braccia aperte le compagnie occidentali, da Eni a Shell, da Chevron a General Electric: 161 miliardi di investimenti diretti nel 2020, di cui 30 solo dagli Stati Uniti, tre quarti di quelli dell’intera regione. Entro i suoi confini si trova circa il 60% delle risorse minerarie dell’ex Unione Sovietica, dal ferro al carbone, insieme a importanti riserve di petrolio (oltre 1,5 milioni di barili al giorno), metano, uranio e diversi altri metalli. 

E poi, c’è la nuova frontiera delle terre rare. Che la scintilla della rivolta sia stato l’aumento del prezzo del gpl può quindi apparire un paradosso. Così sul banco degli imputati è finito il sistema cleptocratico gestito dal padre-padrone del Paese, insieme alla sua cerchia di oligarchi. L’importanza del Kazakhstan va però ben oltre gli interessi finanziari, che il governo ha promesso oggi di continuare a proteggere. 

Gli scossoni che stanno facendo tremare gli avamposti strategici fedeli al Cremlino mettono nuova pressione su Vladimir Putin, che in soccorso ha già inviato i parà. E anche se la repressione avrà la meglio sulla piazza, come in Bielorussia i contraccolpi potrebbero durare nel tempo, aprendo un nuovo fronte proprio mentre la Russia continua il braccio di ferro militare con Europa e Usa sull’Ucraina: ancora tanto di nuovo sul fronte orientale.