Guerra in Ucraina: basteranno le sanzioni alla Russia per fermare Putin?

L'ANALISI DI PAOLA OLLA* / Il doppio taglio dell’arma economica usata contro i dittatori nell'intervista di Valentina Bertuccio D'Angelo

Sanzioni

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Con questa intervista inizia oggi una collaborazione con la professoressa Paola Olla grazie alla quale cercheremo di rispondere alle domande che si affacciano nella mente dei lettori sui principali avvenimenti di politica internazionale.

Le sanzioni contro la Russia in Italia cominciano a mordere. I nostri lettori si domandano quanto dureranno e se si otterranno i risultati voluti. "Una risposta onesta alle sue due domande presuppone la conoscenza di dati di cui in realtà non disponiamo e che forse sono incerti anche per gli stessi decisori politici". Intende dire che la loro durata dipenderà dagli obbiettivi che si vogliono raggiungere? "Già. Ma allo stato delle cose gli obbiettivi sono tutt’altro che chiari. Si vuole costringere Putin al cessate il fuoco? Spingerlo a una ragionevole trattativa di pace? Destabilizzare il suo regime fino a farlo implodere? Le ipotesi si accavallano ma quale sia destinata a prevalere sull’altra non è di facile previsione". Questa incertezza degli obiettivi delle sanzioni deriva forse da una scarsa o nessuna conoscenza delle intenzioni di Putin? "E’ così. Le illazioni sono le più svariate ma con certezza nessuno ha davvero capito fin dove Putin intenda spingersi. Non qui in Europa né a Washington e con tutta probabilità neppure a Pechino. Vuole ripristinare la potenza sovietica? O mira addirittura a ricostruire l’impero zarista? Oppure 'si accontenterebbe' del riconoscimento formale dell’annessione della Crimea e di controllare il Donbass? Vede, le sanzioni dovrebbero essere commisurate ai risultati che si vogliono conseguire, e i risultati tanto meglio possono essere precisati quanto più è netto il comportamento dell’avversario e sono prevedibili le sue mosse. Ma la condotta di Putin ancorché inequivocabile nella sua scelleratezza è militarmente e diplomaticamente contraddittoria. Sembrerebbe aver rivisto i suoi piani. Ma in che modo non lo sappiamo né abbiamo certezze su quali essi fossero in origine". Ma le sanzioni sono finora servite a qualcosa? "A parole la diplomazia russa si dichiara disponibile alle trattative, ma poi la condotta dei contingenti militari spediti in Ucraina ne smentiscono ogni possibile credibilità. Se le sanzioni puntavano a ottenere almeno una tregua, sono servite a ben poco". Sono troppo blande oppure è l’arma economica e finanziaria a non essere in sé sufficientemente efficace? "Sappiamo quanto le sanzioni stiano già pesando sull’Italia e su altri Paesi europei e già si stanno calcolando i danni poderosi che nell’immediato provocherebbe ai processi produttivi l’embargo totale sui rifornimenti energetici dalla Russia. Viceversa non abbiamo dati certi per valutare quanto male i provvedimenti fin qui adottati stiano effettivamente procurando alla Russia. Se 'l’operazione speciale' contro l’Ucraina è stata a lungo meditata non è improbabile che Putin si sia attrezzato per affrontarne le conseguenze meglio di quanto si presuma. I danni che le sanzioni generano all’avversario non sempre è agevole valutarli, specialmente se si ha a che fare con una dittatura". Le sanzioni sono sempre un’arma a doppio taglio? "È nella loro natura. Talvolta chi le applica ne risente pochissimo, talvolta, potrebbe essere il caso delle sanzioni contro Putin, possono dar luogo a effetti molto rilevanti". Con i dittatori è più difficile che le sanzioni funzionino? "Se interroghiamo la storia la risposta è desolante. Con i dittatori si sono rivelate un’arma spuntata". Qualche esempio? "Almeno due. Quello più prossimo alla situazione attuale è il caso dell’aggressione sovietica alla Finlandia nel novembre del 1939. L’URSS fu pesantemente sanzionata e fu espulsa dalla Società delle Nazioni, i finlandesi ebbero ammirazione, solidarietà e aiuti da tutto il mondo ma alla fine la loro strenua resistenza fu piegata e dovettero cedere al nemico più del 10% del loro territorio". Con quali conseguenze per l’URSS? "Questo, vede, è un punto interessante. Considerata la sproporzione delle forze in campo e la durata dell’eroica reazione finlandese, Hitler, come tutti del resto, si convinse che l’URSS fosse un mastodonte dai piedi d’argilla non difficile da piegare. Si sbagliava e di grosso. Si dovrebbe fare attenzione a non commettere oggi lo stesso errore. Di fronte al nemico che attacca la patria, la capacità di mobilitazione e di resistenza dei russi sa essere incontenibile. A prescindere da chi li comanda e degli eserciti di cui dispone". L’altro esempio? "L’aggressione italiana all’Etiopia nel 1935. Contro l’Italia la Società delle Nazioni adottò sanzioni non severissime ma comunque abbastanza pesanti". Gli effetti? "Sono noti. L’Etiopia fu schiacciata, il consenso popolare per il regime fascista andò alle stelle, Mussolini per procurarsi il petrolio dovette venire a patti con Hitler e da lì cominciò a prendere corpo il sodalizio italo-tedesco che nell’arco di tre anni si sarebbe trasformato nel patto 'd’acciaio'". Vuol dire che a causa delle sanzioni anche tra Putin e Xi Jinping potrebbe finire come tra Mussolini e Hitler? Che anche loro da "nemici in tregua" passeranno all’alleanza militare? "A Putin potrebbe non dispiacere, ma per un’alleanza bisogna essere almeno in due e Xi Jinping non credo che ne sarebbe entusiasta. Certo, tutto è possibile, dipende da come evolveranno le cose". Dunque, per ottenere il risultato con Putin, occorre alzare il tiro, passare a provvedimenti più energici come l’embargo sull’esportazione del gas? "L’opzione è quasi sul tavolo, ma con significativi distinguo da parte di paesi importanti come la Germania". Come si spiega questa riluttanza? "In questo nostro mondo iperconnesso e globalizzato, chi di sanzioni colpisce, di sanzioni potrebbe anche perire. Il rischio non è affatto fuori portata. Se la guerra dovesse durare più di qualche settimana le conseguenze per i Paesi, soprattutto per alcuni, che ora sanzionano Putin potrebbero rivelarsi molto pesanti". Recessione, razionamento delle materie prime, limitazione dei servizi, fabbriche chiuse, disoccupazione, scuole e famiglie al freddo. Dobbiamo prepararci a tutto questo? "Sì, se le sanzioni dovessero durare ancora a lungo, il rischio è proprio questo. Così almeno dicono gli economisti". Sarebbe un prezzo molto alto, ma almeno Putin finirebbe per soccombere, no? "Non è detto. Paradossalmente in situazioni del genere le democrazie sono assai più esposte all’instabilità di quanto non lo siano le autocrazie. I dittatori, se riescono a non farsi assassinare, se la cavano sempre o quasi. Franco e Castro sono morti nel loro letto e hanno perfino potuto predisporre per tempo la loro successione. Se talvolta i tiranni crollano non è per effetto delle sanzioni ma in conseguenza di un intervento armato esterno. Oppure, nei casi più felici, penso alle giunte militari in Argentina e in Cile, scompaiono dalla scena politica democraticamente. A patto che da fuori si rinunci a tenerli su ad ogni costo". Mi spieghi meglio. "Ecco, i dittatori banalmente godono di una serie di 'privilegi' che alle democrazie mancano. Non sono sottoposti agli stessi vincoli costituzionali che 'imbrigliano' il processo decisionale democratico e di solito governano un popolo democraticamente immaturo. Reprimono senza pietà i dissidenti, controllano l’informazione totalmente e dunque, senza timore di essere smentiti, raccontano le sanzioni nella forma che meglio si presta a incanalare contro il nemico esterno la frustrazione dei sudditi costretti a patirle". Può fare un esempio? "Il caso di Saddam Hussein è emblematico. L’Iraq, gestito col pugno di ferro, con una maggioranza sciita ridotta al silenzio dalla prepotenza della minoranza sunnita, non era libero né amava il suo tiranno ma godeva di una certa stabilità e di un relativo benessere che undici anni di sanzioni hanno travolto. Eppure l’odio degli iracheni non si è rivolto contro Saddam, il quale con gli eccidi dei Curdi e tutto il resto le aveva provocate, ma contro il nemico esterno che le aveva imposte". Vuol dire che le conseguenze potrebbero essere analoghe se con le sanzioni si puntasse a rovesciare il regime di Putin? "Voglio dire che se con le sanzioni si punta alla destabilizzazione di un regime ritenuto indegno di stare al mondo occorrerebbe tenere presente che un popolo impregnato dell’odio che quel regime gli ha insegnato non accoglierà come un liberatore chi ritiene responsabili della fame e delle umiliazioni subite. È il paradosso del cane maltrattato. Non si ribella al padrone perché crede di non poter sopravvivere senza di lui e se un estraneo gli tende la mano per dargli cibo e libertà non la lecca ma la azzanna". Ma allora c’è il rischio che un inasprimento delle sanzioni consolidi il regime di Putin piuttosto che depotenziarlo? "Potrebbe accadere ma è anche possibile il contrario. La storia non si ripete mai allo stesso modo e perciò non suggerisce previsioni: lancia qua e là degli alert che sarebbe saggio non trascurare". Dipende da come reagirà il popolo russo? "Certamente. Tenga presente però che il popolo russo è pressoché privo di un’esperienza democratica. In un modo o nell’altro è sempre stato sotto padrone. I dissidenti sono numericamente irrilevanti e la stragrande maggioranza della popolazione non sta a sentire loro ma Putin e i suoi appelli all’orgoglio della grande madre Russia e del suo primato morale. Non a caso la chiesa ortodossa è apertamente schierata col regime". Eppure la Russia era sembrata essersi lasciata contaminare dai valori occidentali. "In realtà, più che dai valori, le élites della Russia post-sovietica si sono lasciate contaminare dai disvalori che si sono insinuati nelle democrazie liberali dopo la fine della guerra fredda: liberismo e consumismo sfrenati, individualismo esasperato. l resto della popolazione guarda all’Occidente come al depositario di questi disvalori che considera all’origine del malessere che travaglia la Russia". Ma non capiscono i russi che è Putin il responsabile di tutto questo? "Solo in pochi. Per la stragrande maggioranza dei russi Putin, con la sua formula Dio Patria Famiglia, non è l’autocrate che ha fatto strame delle loro aspirazioni democratiche. Per loro Putin è piuttosto l’antidoto contro la precarietà della vita quotidiana, il garante della sicurezza della Russia, la promessa di un ritorno alla dignità perduta". Scardinare questa condizione sarà possibile? "Sarà molto difficile. Col tempo e in condizioni di pace forse meno. Ma in presenza di un conflitto tutto si estremizza e le dittature se ne avvantaggiano più di quanto non accada alle democrazie liberali". Ma allora le sanzioni sono sempre un’arma spuntata, o peggio sono l’anticamera della guerra? "Non necessariamente se la dialettica sanzionatoria si sviluppa in un quadro di legalità internazionale e tra Stati democratici o anche autocratici ma interessati a salvaguardare la propria reputazione". Può fare un esempio? "Tra gli Stati Uniti e la Cina è stato un continuo sanzionarsi a vicenda ma senza farsi mai troppo male. Finora". Quindi anche con i Paesi retti da regimi autocratici talvolta le sanzioni funzionano, ma potrebbe non essere questo il caso della Russia. "La Russia, con tutte le differenze di proporzioni e di circostanze, è in una situazione simile a quella del Venezuela. Anche lì una parte della popolazione continua a credere in Maduro come nel solo leader in grado di porre rimedio alle condizioni disperate in cui è costretta a vivere proprio a causa del suo malgoverno.  Le élites, o meglio quelle che un tempo lo erano, vorrebbero sbarazzarsene democraticamente ma non ne sono capaci. Intanto agiscono le sanzioni affamando tutti. E la fame, si sa, non avvicina ma separa ulteriormente chi già è diviso". C’è qualche esempio recente di sanzioni che abbiano ottenuto dei risultati contro una dittatura? "Si tende a dire che sia il caso del Sud Africa. In realtà, il regime di Pretoria finché a soffrire per le sanzioni è stata la maggioranza nera non è affatto vissuto male. Il cambiamento è avvenuto quando Reagan ha annunciato che la tolleranza degli Stati Uniti stava per finire. Più che un caso di sanzioni efficaci è semmai un esempio dei risultati raggiungibili con una scelta politica intelligente ancorché tardiva".

Tornando a Putin, che cosa ci si deve aspettare? "Onestamente da lui mi aspetto davvero poco tanta è la sua propensione a fare male alla Russia prima ancora che ai propri nemici. E tuttavia spero in una tregua immediata per sottrarre il popolo ucraino alle atrocità che quotidianamente è costretto a subire e in una svolta nelle trattative che porti a un compromesso di pace".

Che tipo di compromesso? "Chi può dirlo. Gli orrori di Bucha hanno complicato molto le cose ma la posta in gioco è troppo alta perché si possa ragionare in termini che non siano di pace".

Nel frattempo dovremo imparare a convivere con le sanzioni o dobbiamo aspettarci un’escalation militare? "Lo ripeto, allo stato delle cose da Putin ci si può attendere il peggio. La sua insensatezza ha catapultato il mondo in un’era dove il ricorso all’arma nucleare potrebbe cessare di essere il tabù che è stato fino a oggi. Un’attenta ponderazione dei rischi, saggezza e lungimiranza dobbiamo aspettarceli invece da tutti gli altri leader coinvolti e in primis dallo stesso presidente Zelensky sul quale ricade la responsabilità della scelta più difficile. In gioco non è soltanto l’indipendenza, l’integrità e la sicurezza dell’Ucraina ma la stabilità dell’intera Europa se non addirittura il destino dell’umanità".

E allora la prossima volta parleremo di questo. Grazie.

*Storica della politica internazionale, già docente nell'Università Statale di Milano, studiosa dei rapporti tra le democrazie occidentali e i regimi autoritari.

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