Guerra fredda Pechino-Londra, scattano le sanzioni cinesi

Per nove personalità, tra cui parlamentari, divieti di ingresso e restrizioni sugli affari: avevano criticato le violazioni dei diritti umani

Il dittatore nordcoreano Kim Jong Un con i suoi generali

Il dittatore nordcoreano Kim Jong Un con i suoi generali

Londra - E' ormai guerra fredda tra Pechino e Londra, e più in generale tra Cina e Occidente, sulle questioni dei diritti umani. Scatta infatti una nuova rappresaglia della Cina dopo le sanzioni dell’Ue in accordo con Stati Uniti, Canada e Regno Unito. Pechino ha annunciato sanzioni contro nove personalità, parlamentari compresi, e quattro entità nel Regno Unito accusati di aver “maliziosamente diffuso bugie e disinformazione”, come si legge in una nota del ministero degli Esteri pubblicata anche sul sito web dell’ambasciata cinese a Londra.

I parlamentari Tom Tugendhat, che presiede il Foreign Affairs Committee, Iain Duncan Smith, Neil O’Brien, Tim Loughton e Nusrat Ghani sono tra le personalità sanzionate. Nel mirino anche David Alton e Helena Kennedy, che siedono nella Camera dei Lord, così come l’avvocato esperto di diritti umani Geoffrey Nice, protagonista in passato del processo contro Slobodan Milosevic e capo dell’indipendente Uyghur Tribunal attivo dal settembre dello scorso anno, nonché il ricercatore Joanne Nicola Smith Finley. Per tutti, e per i loro familiari, scatta il divieto di ingresso in Cina e a Hong Kong e Macao. Sanzionati poi la Commissione diritti umani del Partito conservatore, lo stesso Uyghur Tribunal, il China Research Group e l’Essex Court Chambers. Le misure decise da Pechino prevedono anche restrizioni per gli affari

E’ un “onore” irritare la Cina, ha twittato Duncan Smith. “E’ nostro dovere denunciare gli abusi dei diritti umani da parte del governo cinese a Hong Kong e il genocidio degli uiguri - ha aggiunto - Chi di noi vive libero, nello stato di diritto, deve alzare la voce al posto di chi non ha voce”. La Cina si riserva ora il diritto di adottare ulteriori misure. Per il ministero degli Esteri cinese, che nei giorni scorsi ha convocato l’ambasciatrice britannica a Pechino per una “protesta solenne”, le sanzioni del Regno Unito in relazione alla situazione nello Xinjiang si basano solo “menzogne e disinformazione”, costituiscono una “palese violazione del diritto internazionale e delle norme che regolano le relazioni internazionali” oltre a rappresentare una “grave interferenze negli affari interni della Cina” e a “intaccare” le relazioni tra i due Paesi.