Birmania, oltre 500 morti, e anche la Cina cambia idea

L'alleato Pechino invita ora alla moderazione e al dialogo. Un'ex senatrice italiana vuole andare da San Suu Kyi

Uno dei 35 bambini uccisi dai militari in Birmania negli ultimi giorni

Uno dei 35 bambini uccisi dai militari in Birmania negli ultimi giorni

Yangoon (Birmania) - Sono oltre 500 i civili uccisi, tra cui molti studenti e adolescenti,da parte delle forze di sicurezza dal colpo di Stato militare del 1 febbraio in Myanmar (ex Birmania), secondo l‘Associazione per l‘assistenza ai prigionieri politici. «Abbiamo la conferma di 510 morti», afferma l‘ong specificando che il bilancio «è probabilmente molto più alto», con centinaia di persone arrestate negli ultimi due mesi di cui non si sa più nulla.  Anche la Cina, i cui diplomatici avevano partecipato pochi giorni fa a un pranzo di gala con i vertici militari, soli invitati insieme ai colleghi di Russia, Vietnam, Laos e Pakistan, conferma oggi a sorpresa la sua «preoccupazione» per l‘evoluzione degli scenari in Birmania. «Siamo preoccupati per la situazione in Myanmar. Come abbiamo detto in molte occasioni, speriamo che tutte le parti possano mantenere la calma, esercitare moderazione e intraprendere azioni con un atteggiamento costruttivo per ridurre e raffreddare la situazione», ha affermato in conferenza stampa, il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian. 

«La violenza e lo spargimento di sangue non servono gli interessi di nessuno, ed è il popolo del Myanmar a soffrire. Ci auguriamo che tutte le parti tengano presente gli interessi fondamentali del popolobirmano, continuino a impegnarsi per allentare le tensioni attraverso il dialogo e le consultazioni», ha aggiunto Zhao, per il quale la soluzione non può che emergere affrontando «le controversie e le divergenze all‘interno del quadro costituzionale e giuridico» e continuando «a portare avanti il processo di transizione democratica nel Paese».

Il bilancio delle vittime è stato particolarmente pesante sabato, Giornata delle forze armate birmane, con oltre 110 vittime tra cui sette minori. Nonostante la sanguinosa repressione, ieri i manifestanti sono nuovamente scesi in piazza. Quattordici civili sono morti, la maggior parte nell'est di Yangon (ex Rangoon), la capitale economica del Paese. Di fronte a questo bagno di sangue, Washington ha annunciato l'immediata sospensione dell'accordo quadro su commercio e investimenti concluso nel 2013 con la Birmania, fino al ristabilimento di un governo «democraticamente eletto». La Francia ha denunciato «la violenza indiscriminata e omicida» del regime e ha chiesto il rilascio di «tutti i prigionieri politici», compresa Aung San Suu Kyi, ancora in isolamento.

Il Regno Unito, da parte sua, ha chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che si svolgerà domani a porte chiuse. Ma i generali birmani finora non hanno ascoltato le proteste e le sanzioni occidentali. Hanno anche potuto contare sulle divisioni della comunità internazionale. La Cina e l'India si sono rifiutate di condannare formalmente il colpo di Stato. La  Russia mantiene stretti legami con la giunta militare: sabato il vice ministro della Difesa russo Alexander Fomin ha partecipato alla parata annuale delle forze armate birmane. Il Cremlino si dice certamente preoccupato per il numero «crescente» dei morti, ma ha dichiarato che la Birmania resta un «alleato affidabile e un partner strategico» con cui vuole rafforzare le sue relazioni militari.

Dall’Italia infine arriva la richiesta di entrare in Myanmar e incontrare Aung San Suu Kyi. La inoltra in via ufficiale alla sede diplomatica l’ex senatrice e oggi presidente dell’istituto Alcide Cervi, Albertina Soliani, rivolgendosiall’ambasciatrice del Myanmar in Italia, Hmway Hmway Khyne. “Cara Ambasciatrice, inoltro la mia formale richiesta di poter entrare in Myanmar e di poter incontrare nel prossimo periodo Aung San Suu Kyi. Chiedo di poter ricevere informazioni dirette sul suo stato di salute, anche attraverso una telefonata”, scrive Soliani. L’ex senatrice e’ da molti anni legata ad Aung San Suu Kyi e al popolo birmano, anche grazie a numerosi progetti in ambito sociale, medico ed educativo a sostegno della popolazione del Myanmar.

“Oltre le dichiarazioni di condanna, e’ necessario agire subito”, dice il consigliere del Partito democratico del Comune di Bologna, Francesco Errani, in apertura del Consiglio comunale, ri-avanzando la proposta di esporre uno striscione in onore del Myanmar.  “Chiedo di esporre sulla facciata di palazzo D’Accursio uno stendardo ‘Myanmar No Golpe per la liberazione del popolo birmano’, come partecipazione alla protesta popolare”, dice il dem. Per Errani “i Parlamenti democratici e il Consiglio comunale di Bologna devono difendere la democrazia, quando altri vogliono soffocarla contando sull’indifferenza. Onorare la Resistenza significa anche questo”.