"Gli attacchi dell'11 settembre cambiarono l'idea di comunità. La nostra arma? La cultura"

Intervista al professor Antonio Maria Orecchia, docente di Storia del XX Secolo all'università dell'Insubria: "L'errore dell'Occidente? Contrapporre sicurezza a libertà"

Vigili del fuoco in azione l'11 settembre

Vigili del fuoco in azione l'11 settembre

"I terroristi che colpirono l’Occidente l’11 settembre 2001 e chi li armò non hanno vinto la loro guerra santa, ma un obiettivo l’hanno centrato. Incidere sull’evoluzione della società loro 'nemica', per esempio provocando profondi cambiamenti nei concetti di democrazia e comunità. Ma l’Occidente ha gli anticorpi per superare questa fase di difficoltà e avviare un nuovo 'Rinascimento' delle menti e degli spiriti”. A dirlo è il professor Antonio Maria Orecchia, docente di 'Storia del XX secolo', insegnamento del corso di laurea in 'Storia e storie del mondo contemporaneo' all’Università degli Studi dell’Insubria di Varese.

Vent’anni fa l’11 settembre, ora la crisi afghana. La situazione attuale è anche il frutto di quegli accadimenti?

“Non c’è dubbio. L’Afghanistan fu il primo obiettivo della vasta coalizione di Paesi che si formò intorno agli Stati Uniti per organizzare la risposta agli attentati di New York e al fondamentalismo islamico armato. L’11 settembre è un punto di svolta decisivo nella storia contemporanea e lo dimostra il fatto che l’Afghanistan è tornato oggi a essere uno scenario di crisi internazionale. Del resto basta pensare alla risoluzione del Congresso americano che autorizzò l’allora presidente Bush a inviare le truppe. Bisognava intervenire a Kabul per “difendere la libertà degli Stati Uniti”, ma anche per “restaurare le fondamentali libertà umane del popolo afghano”.

Che salto di qualità segnarono gli attentati dell’11 settembre nella lotta dei terroristi?

“Innanzitutto bisogna definire bene cosa è stato l’11 settembre. Le teorie in proposito sono varie. Per alcuni fu la conferma flagrante della teoria dello scontro di civiltà elaborata dal politologo americano Samuel Huntington. Per altri fu la conferma della situazione di anarchia internazionale sviluppatasi dopo la caduta del muro di Berlino. Per altri ancora fu l’inizio di una sorta di terza guerra mondiale. Quello che è certo è che ci si trovò davanti a un nuovo tipo di guerra. Una guerra asimmetrica. Senza limiti”.

Quindi?

“È vero che c’è stato un salto di qualità del terrorismo, ma gli attacchi del 2001 sono il primo e più impressionante frutto di un processo iniziato dopo la caduta del muro in Germania. Alcuni libri come ‘Iperterrorismo’ dello studioso di geopolitica François Heisbourg e ‘Terroristi in nome di Dio’ del sociologo Mark Juergensmeyer, esperto in studi religiosi, si soffermano proprio su questa evoluzione. La differenza è che durante l’epoca ideologica, il ‘900, il terrorismo era ‘a volontà politica’, dato che esercitava una violenza terribile ma limitata e per scopi circoscritti, mentre le nuove forme di terrorismo sono, secondo questi e altri esperti, ‘a volontà metafisica’. Consentono di impiegare una violenza illimitata per scopi ispirati al fanatismo più cieco. Per questi terroristi – che, è bene ricordarlo, sono una sparuta minoranza – la guerra che combattono ha dimensioni e rilievo universale”.

Geografia e strategie del terrorismo fondamentalista islamico sono cambiati in questi vent’anni?

“L’approccio non è variato nella sua sostanza e ideologia, del resto Al Qaeda nacque ben prima del 2001. Va appuntato che dopo l’11 settembre la potenza terrificante di questo terrorismo è stata molto limitata. Quei fatti, però, hanno inciso sulle persone: inquietudine, incertezza, pessimismo, persino la paura, sono diventati stati d’animo ricorrenti, soprattutto nel mondo occidentale”.

Il professor Antonio Maria Orecchia
Il professor Antonio Maria Orecchia

Quali errori ha commesso l’Occidente in questi vent’anni di “convivenza” con il terrorismo?

“Le conseguenze di quelle azioni si possono osservare sia all’interno degli Stati nazione, sia all’esterno. Per quanto riguarda il primo fronte si pensi a come dopo l’11 settembre 2001 sia stato messo in discussione il concetto di democrazia liberale e del rapporto tra libertà e democrazia. È, cioè, emerso il dilemma della sicurezza. In questo caso l’errore delle classi dirigenti dell’Occidente è stato iniziare a considerare scontato che per garantire la sicurezza si potessero comprimere alcuni diritti civili fondamentali, come se il concetto di sicurezza e quello di libertà, declinato nelle sue forme più varie, a partire dalla possibilità di muoversi liberamente, fossero - e siano ancora - in contraddizione, secondo l’equazione più sicurezza uguale meno libertà. Equazione che io trovo profondamente pericolosa e sbagliata".

E sull’altro fronte?

“Dal punto di vista geopolitico gli attacchi di New York e Washington mostrarono che non funzionava l’idea nata dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del comunismo e dell’Unione Sovietica, cioè quella di un mondo dominato e controllato da un’unica superpotenza, per quanto benevola, gli Usa: una tesi molto cara alla 'destra' americana. Quello che è emerso vent’anni fa, invece, è che viviamo in un mondo multipolare, in cui si sono formati e via via affermati poli alternativi che stanno cercando di sistemare il disordine planetario o di realizzare un nuovo ordine mondiale, ciascuno secondo i suoi interessi e convincimenti”.

Come ha inciso nello scacchiere planetario l’affermazione di queste nuove potenze?

“Si sta ridisegnando la cartina geopolitica internazionale. Pensiamo alla situazione afghana. Il ritiro della coalizione e, in senso più ampio, la ‘sconfitta’ dell’Occidente possono spronare questi nuovi soggetti – Russia e Cina in particolare - ad assumersi le loro responsabilità. L’Afghanistan confina anche con la Cina e dall’Afghanistan si infiltrano i terroristi pronti a irrompere nella regione dello Xinjiang, che ospita gli uiguri, la minoranza islamica cinese. A nord dell’Afghanistan ci sono le regioni musulmane ex sovietiche. Anche queste aree possono essere pesantemente infiltrate dal terrorismo. Potenze come Cina e Russia, che non vedono di buon occhio la rinascita di un Emirato guidato dagli estremisti armati, devono ragionare in un’ottica di collaborazione internazionale con l’Occidente. O, comunque, assumersi le proprie responsabilità e intervenire".

Al Qaeda e Isis: quali sono le differenze e quali i punti di contatto?

“Non credo sia utile guardare a eventuali differenze di ideologia o modus operandi, quando il concetto di base – ovvero la guerra totale – resta lo stesso. È importante, invece, notare che anche il mondo del terrorismo fondamentalista è diviso al suo interno, perché queste spaccature potrebbero essere sfruttate per organizzare una reazione più efficace”.

Non solo geopolitica: quali sono stati gli altri effetti degli eventi dell’11 settembre?

“Pesanti sono state le ripercussioni sull’economia. Gli attacchi coincidono con l’inizio della fine per il neoliberalismo sfrenato, un capitolo che si è chiuso definitivamente con la crisi economica partita nel 2007. Gli attentati hanno anche portato a un rilancio delle religioni confessionali, almeno per quanto riguarda minoranze più o meno rumorose. Non solo l’islam radicale, ma anche il cristianesimo più intransigente, si pensi ad alcune nicchie estremiste attive soprattutto negli Stati Uniti, e l’induismo militante hanno conosciuto una rinascita. Si tratta di minoranze, è vero, ma il rischio sta proprio nella loro chiusura e nella loro contrapposizione ‘tout court’ al resto della società”.

Abbiamo la possibilità di replicare a questa chiusura?

“L’unica risorsa di cui disponiamo per superare questa fase è la cultura, il ‘soft power’. Noi occidentali dovremmo capire che forse non è più il caso di pensare a una nostra presunta superiorità rispetto alle altre società. Non dobbiamo considerarci ‘soli contro tutti’. Cultura e integrazione sono le medicine per uscire da questa crisi”.

I terroristi che agirono l’11 settembre e tutti quelli che li hanno seguiti in questi vent’anni hanno realizzato il loro obiettivo?

“No. Avevano e hanno uno scopo totale e totalizzante, ed è innegabile che non ce l’hanno fatta: anche all’interno dell’Islam sono rimasti una assoluta e microscopica minoranza. Ma quegli attentati e gli attacchi successivi hanno inciso profondamente sul concetto di democrazia e nell’idea di comunità. L’Occidente, dopo un primo momento di compattamento simbolizzato dalla frase ‘Siamo tutti americani’, in realtà si è diviso, soprattutto sui modi per affrontare questa sfida e si è un po’ 'chiuso in se stesso', rinunciando - almeno in parte - a essere una società aperta, tollerante, includente. Ma è questa, forse, l’unica ‘vittoria’ registrata dai terroristi sul nostro mondo.