L'Afghanistan dei talebani prepara il Narco-Stato che inonderà il mondo di eroina

Dopo il ritiro Nato I Talebani marciano su Kabul finanziandosi con gli immensi proventi dell'oppio. Che la Cia offrì ai mujaheddin contro i russi

Contadini afghani al lavoro sui campi di oppio

Contadini afghani al lavoro sui campi di oppio

Kabul - Il fulmineo ritiro della Nato dall'Afghanistan, a vent'anni dall'ingresso delle truppe Usa dopo l'attentato alle Twin Towers, non ha solo riconsegnato il Paese in mano ai Talebani, pronti ormai a ricondurlo al medioevo della shaaria più integralista, con la conquista di Kabul. Ma ha determinato soprattutto la nascita del più grande Narco-Stato al mondo, pronto a inondare di eroina tutto il pianeta. L'allarme arriva da molti osservatori internazionali, che certificano ormai l'Afghanistan come il produttore di oltre il 90% dell'oppio illegale al mondo (fino al 2008 lo era la Birmania). Essenza da cui si ricavano appunto l'eroina e altre sostanze stupefacenti. In Afghanistan la superficie coltivata ad oppio è già oggi superiore a quella riservata alle piantagioni di cocaina in Sud America.

Contadini afghani al lavoro sui campi di oppio
Contadini afghani al lavoro sui campi di oppio

Ma vediamo la questione nei dettagli:

Il fiore dell'oppio: da qui si ricava anche l'eroina
Il fiore dell'oppio: da qui si ricava anche l'eroina

L'avanzata degli studenti di teologia

Un'attività criminale, quella della coltivazione dell'oppio, controllata soprattutto dai talebani e dai signori della guerra, che impiega già mezzo milione di contadini. Proprio come l'Isis dal 2014 in poi accumulò enormi ricchezze con i proventi del greggio, diventando l’organizzazione terroristica più ricca di tutti i tempi, così anche i talebani hanno  ritrovato il loro petrolio nel papavero da oppio, il fiore che ricopre intere province dell’Afghanistan. Controllandone ormai quasi in esclusiva l’export del Paese, dal suo commercio gli ex studenti di teologia ricavano il 60% delle loro entrate, grazie alle quali stanno ormai per vincere a mani basse la guerra contro Kabul.

Le prime mosse della Cia contro i sovietici

Ma la parabola del rapporto tra oppio e integralisti islamici nel Paese nasce da molto lontano. Alla fine degli anni '70 infatti fu proprio la Cia, in funzione anti-sovietica, a lanciare la ben nota operazione Cyclone, tesa a finanziare le milizie dei mujaheddin afghani, che resistevano alle truppe di Mosca, attive nel paese per dieci anni fino al 1989. Ma non avrebbero certo potuto farlo con i propri mezzi. Così, secondo fonti ben accreditate e ormai acclarate, la Cia e l'Isi (i servizi segreti pakistani) avrebbero fornito, anche grazie ai proventi indotti dell'oppio, armi e assistenza militare per circa due miliardi di dollari ai gruppi integralisti islamici. Tra i quali sarebbe poi emerso un leader sempre più ingombrante ed aggressivo, Osama Bin Laden. 

Blue Moon e la devastante politica degli anni '80
Afghani in fuga dalle truppe dei Talebani, che marciano su Kabul
Afghani in fuga dalle truppe dei Talebani, che marciano su Kabul

La conseguenza di quella che venne ormai universalmente definita la "guerra segreta della Cia", secondo il professor Alfred McCoy, autore di un saggio sulla "politica dell'eroina" condotta dall'intelligence Usa, fu che a metà degli anni '70 la produzione dell'oppio e le relative raffinerie tra Afghanistan e Pakistan esplosero a dismisura, e con esse le esportazioni di eroina verso ovest. Tanto che all'inizio degli anni '80 la dipendenza da eroina vide raddoppiare i casi negli Usa. Un cospicuo capitolo a parte potrebbe meritare la famigerata operazione Blue Moon, concordata tra la Cia e alcuni servizi europei per inondare di eroina a bassissimo costo le piazze delle contestazioni, in quegli anni. Una manovra scellerata che determinò il dramma di molte generazioni di giovani in Europa e negli Usa e che fu la premessa del dramma dell'Aids, quando ancora non si sapeva che lo scambio di siringhe tra tossicomani sarebbe stato letale.

Bin Laden al posto dei russi

Di fatto, tornando all'Asia, con una progressione costante della produzione di oppio e il finanziamento dei mujaheddin, la Cia aveva ottenuto l'obiettivo del ritiro russo dal Paese, nel 1989, ma a un prezzo altissimo: quello di aver trasformato l'Afghanistan in un inferno. All'inizio del nuovo millennio, e alla vigilia dell'invasione Usa, con i Talebani al potere a Kabul la produzione interna era vicina alle 5mila tonnellate di oppio all'anno, di cui la metà trasformata in brown sugar. Fu a quel punto che, con un colpo di teatro, i Talebani cercarono una legittimazione internazionale, fingendo di fatto di inibire, quando non di vietare la coltivazione dell'oppio. L'obiettivo era anzitutto quello di riportare gli americani, sempre più lontani, a una politica più conciliante. Nessuno sa quale calcolo abbia portato Bin Laden e i suoi a lanciare l'attacco, all'apparenza del tutto insensato in quest'ottica, su New York e Washington.

Un talebano in un campo di oppio
Un talebano in un campo di oppio

Le distese di papaveri nel Paese

Ma la storia è nota e nel giro di un mese le truppe Usa entrarono senza troppe difficoltà fino a Kabul. Tutto finito dunque? Al contrario. Nel 2008 la metà del Pil afghano proveniva dall'oppio e di lì in poi ogni anno erano 6.300 le tonnellate prodotte, nel secondo Paese più povero al mondo. Nel 2008 dunque, superando la Birmania, l’Afghanistan è diventato il più grande produttore mondiale d’oppio, in buona parte raffinato in eroina. La maggior parte dell’oppio prodotto in Afghanistan proviene dalle province di Kandahar e Helmand, di cui la seconda è considerata il principale produttore. Si calcola oltretutto che in Afghanistan solo l’uno per cento dell’eroina esportata illegalmente viene intercettata e distrutta dai governi nazionali. Secondo il rapporto Sigar (ispettorato generale per la ricostruzione dell’Afghanistan) e il capo dei servizi antidroga russi Viktor Ivanov,  ogni anno nel martoriato paese vengono prodotte 150 miliardi di dosi.

La farsa della guerra mondiale all'oppio

Dal 2002 a oggi gli Usa avrebbero stanziato 8 miliardi e mezzo di dollari per cancellare l'oppio dal Paese. Ma è accaduto esattamente il contrario. Sarebbe stato infatti  un gioco da ragazzi, per le truppe di occupazione, devastare i campi di papaveri, ma si decise di non farlo proprio per non togliere i mezzi di sussistenza a metà della popolazione. Certo nessuno voleva nemmeno mettersi contro i potenti signori della guerra locali, non ultimo Ahmed Wali, fratello di Hamid Karzai, il presidente afghano, o Gul Agha Sherzai, padrone incontrastato nella provincia di Kandahar, che ricevette dieci milioni di dollari per eliminare la concorrenza, ma al quale non fu torto uno stelo di papavero. 

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Il boom delle tossicodipendenze nel mondo

L'effetto della iperproduzione di oppio, secondo l'Onu, fu comunque quello, fino a cinque anni fa, di far lievitare il numero di tossicodipendenti nel Paese da 900mila a due milioni e mezzo in dieci anni, coinvolgendo quasi una famiglia su tre, il 9 per cento della popolazione adulta. Sempre secondo dati Onu, nel ventennio di occupazione Usa il numero di afghani sotto la soglia di povertà è più che raddoppiato, passando da 9,1 milioni a 19,5 milioni. Moltissimi afghani rifugiati in Iran, a partire dal 2008, sono rientrati nel Paese dopo aver cercato una nuova vita oltre confine. Finiti a fare i braccianti o i cavapietre, erano stati sfruttati e pagati in eroina. Sono gli zombie che per anni si sono visti vagare per Kabul, tossicodipendenti conclamati senza alcuna speranza di futuro. E anche il Pakistan ha pagato lo scotto del gran ritorno dell'eroina, con 7 milioni di cittadini che fanno uso di droghe e circa 700 casi di overdose al giorno. E nel mondo, secondo l'Onu, negli ultimi dieci anni i decessi legati agli oppioidi nel mondo sono aumentati del 71%. Nel solo 2019 negli Usa le morti di overdose sono state oltre 70mila.

La nascita del Narco-Stato talebano

Veniamo dunque ai giorni nostri. Mentre a Doha, fuori tempo massimo, gli Usa hanno convocato proprio i Talebani per cercare un'impossibile soluzione diplomatica al conflitto, al contempo mandano i bombardieri sui cieli afghani, per una guerra dal cielo che, come tutte le altre condotte di recente, potrà solo determinare incalcolabili vittime civili, senza alterare le sorti del conflitto. Perché oggi le guerre si vincono sulla terra. Con il ritiro americano, dunque, i talebani hanno intravisto l'enorme potenzialità finanziaria dell'oppio: ormai lontani dall'inibirne la produzione per motivi ideologici (o strategie politiche) e ora, dopo avere conquistato senza resistenze le principali città e province del Nord, marciano compatti su Kabul, che prenderanno nel giro di pochi mesi, per poi creare il loro potente Narco-Stato, all'ombra della shaaria e del terrore, in grado di reggersi quasi del tutto sulla produzione dell'oppio. Come? Inondando il mondo di eroina, come accadde negli anni '80, ma questa volta con conseguenze ancora più devastanti. Il mostro, insomma, ancora una volta è scappato di mano, come una creatura aliena tenuta a lungo in laboratorio. E presto toccherà farci i conti. A prezzi incalcolabili.

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Il narcoterrorismo di Isis e dei mujaheddin

A preoccupare l’Occidente, da qualche anno, è anche il fenomeno del narcoterrorismo, ovvero l’alleanza tra le reti della jihad globale (non ultima l'Isis, oggi ormai egemone in molte zone dell'Africa) e i cartelli dei narcotrafficanti, pronti a  garantire logistica e supporto armato in cambio di narcodollari. I primi a lanciare l’allarme in tal senso erano stati i russi, che lo scorso anno nel consiglio di sicurezza delle Nazioni unite stimavano in quasi un miliardo di dollari annui il fatturato di Isis derivante dal traffico di droga. Ma il patto tra jihadisti e narcos nasce a monte, tra i campi di papavero in Afghanistan. Fino al 2001 l’oppio era considerato dai leader talebani come contrario all’Islam. Poi con il profumo dei soldi e le cose sono cambiate. Fino al 2008  i talebani guadagnavano 92 milioni di dollari all'anno imponendo una tassa ai contadini. Dal 2011 la strategia è cambiata. E ora l'Occidente aspetta il botto.