L'ex top Benedetta Barzini: io, Dalì e il giorno in cui lo sposai per gioco

La top, musa di Dalì racconta la sua infanzia e gli anni della moda

Benedetta Barzini

Benedetta Barzini

Come modella ha vissuto la New York degli anni Sessanta, ha lavorato con Diana Vreeland, guru di Vogue, e frequentato Andy Warhol; era amica di Roy Lichtenstein ed è stata la finta moglie, nonchè musa ispiratrice di Salvador Dalì. Benedetta Barzini, 67 anni, è esilissima nella sua eleganza. È una farfalla fragile e seduttiva. Ha scontato l’eredità di un cognome che pesa, è figlia di Luigi Jr, nipote di Luigi Sr., storici inviati del Corriere e scrittori famosi, la mamma era Giannalisa Feltrinelli, madre di Giangiacomo.

Ha portato e sopportato come un abito che va molto stretto un passato (e un presente) di bellissima, perché è una dolorosa pena del contrappasso essere solo un’immagine muta, seppur donna immagine di Vogue, unica eletta a corte, per chi nasconde uno spirito creativo e anarchico. Oggi, l’ex top model immortalata da Avedon, ex top mamma, ed ex giornalista di costume, «quel» mondo veloce della Factory, vuoto per eccesso di beni, fatto di mondanità, ma anche di geni dell’arte e musicisti promettenti, ha smesso di viverlo e ha cominciato a raccontarlo.

EX TOP MODEL DI AVEDON

Con l’aria lieve, mai malinconica, anzi, a tratti divertita, di uno spettatore saggio. 

Lei e il maestro Dalì avete trascorso molto tempo insieme a New York...

"Quattro vite fa. Vivo da anni in una casetta sulla spiaggia, a Livorno, il mio buen retiro, sto tutto il giorno sul mio scoglio. E poi avevo solo vent’anni quando ci siamo “sposati”  sono passati 50 anni o molti di più. Sono giustificata se ricordo poco?".

Solo se ci racconta come vi siete incontrati.

"Non era molto difficile incontrare Dalì in quegli anni a New York. Troneggiava al lussuosissimo St Regis e frequentava tutte le feste. Ci siamo visti la prima volta a casa di Andy Warhol, loro erano amici e si stimavano moltissimo. Io ero, mio malgrado, una modella e frequentavo lo stesso giro, quello della Pop art, della Factory".

Mi sembra di capire che non fu un colpo di fulmine tra lei e Dalì?

"No, non fu nemmeno amore vero, per me è stato un gioco. E sicuramente anche per lui. Non l’ho amato e lui non ha amato me. Anzi, all’inizio non mi piaceva proprio, mi sembrava assurdo nei suoi grotteschi sforzi di istrionismo. Ma poi abbiamo passato tante ore meravigliose insieme a New York».

E' stato lui a corteggiarla?

«Sì, io ero una bambina persa e smarrita, con scritto in faccia “sono piccola, salvami” catapultata in un mondo che non mi apparteneva. Ero una spettatrice di quella New York in cui sembrava che il futuro fosse legato solo alla perdita di se stessi».

E quindi? Come è scattata l’empatia?

"Dopo una litigata. Io ero giovanissima, lui era già un artista famoso ed eccentrico, con questi suoi occhi sempre sgranati e spiritati. Un giorno gli dissi: sai che il tuo atteggiamento da protagonista mi innervosisce? Tutto questo gesticolare, questo voler essere sempre al centro dell’attenzione e questo vezzo di attorcigliarti i baffi. Mi hai stufata».

E lui?  

"Mi ha inaspettatamente aperto il suo cuore, mi spiegò che le ragioni di questo atteggiamento andavano cercate nel suo passato. “I miei genitori mi hanno chiamato Salvador come mio fratello morto giovane”, mi spiegò. “Ogni volta che facevo qualcosa, mia madre e mio padre mi ricordavano che mio fratello maggiore l’aveva fatta meglio di me. Lui era più buono, più bello e più bravo, più tutto. Ho dovuto inventare cose che lui non avrebbe mai fatto, diventare anche io bravo in qualcosa”».

Per lei che aveva avuto un rapporto difficile con sua madre e con suo padre, che non si era mai sentita amata, è stata una sponda.

"Sì, ma è stato anche un uomo meravigliosamente divertente. Mi chiese di sposarlo perché gli ricordavo la moglie Gala».

Lei ha accettato?

"Certo, per gioco. Lui era così. Amava le soprese, il clamore, le fanfare e anche le finzioni".

Un matrimonio segreto? Solo vostro?

"Non segreto, ma certamente solo mio, suo e dei due testimoni: il suo segretario e un cucciolo di tigre, tutti davanti a una monumentale torta nuziale nella sala del St Regis. Indossavo un vestito nero, me lo aveva regalato lui, mi voleva così, uguale a Gala, quando era giovane, naturalmente».

Qual è l’ultimo ricordo che conserva di Dalì?

"Io e lui insieme a vedere una sua mostra".

Rimpianti?

"Non avere nemmeno un suo quadro (ride). In realtà mi dispiace non avere succhiato tutta la sua linfa vitale. Non avere imparato qualcosa da lui. Ma io sono fatta così, non ho mai voluto approfittare».

Quando è arrivato l’amore nella sua vita?

"Con i padri dei miei quattro figli. Il papà dei più grandi, i gemelli Giacomo e Caterina, l’ho amato molto e per lui ho anche sofferto molto. Mi ha lasciata poco tempo dopo che ho partorito, non voleva i bambini e ha passato i successivi 13 anni a darmi battaglia per averli in affidamento. Anche il mio secondo marito non sono riuscita a tenermelo. E poi un terzo amore segretissimo. Avrei voluto invecchiare insieme a qualcuno di questi uomini».

Che figlia è stata?

"Ho avuto un’infanzia privilegiata, ma infelice. Ricordo che a New York io e mia sorella vivevamo al piano terra con le tate e mia madre stava nella suite. Quando salivo lei mi guardava e mi diceva. “E tu chi sei delle due, Benedetta o Ludina?” Io ho sofferto moltissimo di questo e mi sono ammalata. Sono stata anoressica per dieci anni. Poi ne sono uscita con altrettanti di analisi. Mia madre era così: stramba, nel suo mondo».

Qual era il suo mondo?

"Non quello di una madre. Non sapeva educare, non mi ha mai ascoltata, non mi ha mai fritto un uovo. Forse lei si sforzava di essere diversa, ma non ce la faceva. Un giorno, quando ero già una modella affermata, mi disse: “Ti ho visto sul giornale, ho ritagliato la tua foto”. E io felice. Poi guardo meglio, non ero io. “Mamma, ma quella non sono io”. E lei “Ah sì è vero, ma siete quasi tutte uguali voi modelle”.

Com’è oggi Benedetta Barzini?

"Quando il telefono ha smesso di suonare ho staccato la spina dal mondo della moda e mi sono dedicata a tempo pieno ai miei quattro figli e, oggi, ai miei quattro nipoti e anche ai figli dei miei ex mariti. Ho insegnato Sociologia della moda e Antropologia dei costumi al Politecnico. Ma appena posso scappo da Milano".

Cosa ha insegnato ai suoi ragazzi?

"A conquistare la libertà mentale. Soprattutto alle donne. E la libertà si esprime anche nel modo di vestire".

Cioè?

"Eleganza è vestire ciò che ci va di indossare. E spiego alle ragazze che non devono essere schiave degli stereotipi, perché la taglia 40 sta diventando il burqa delle giovani occidentali".