Paolo Rossi: ritratto di un campione normale

La gentilezza e il sorriso erano le sue caratteristiche migliori. E ora che se n’è andato il più mite degli eroi del Mundial è come se si fermasse il tempo

Paolo Rossi

Paolo Rossi

Milano, 10 dicembre 2020 - Ora che Paolo Rossi non c’è più, ora che le lacrime si mischiano ai ricordi, ora che un dolore infinito tramortisce nel cuore e nell’anima, ora che la maglia azzurra ha perso una delle 4 stelle attaccate al petto..., beh ora sì, ci sentiamo tutti più soli. Abbiamo pianto solo due settimane fa la morte di Diego Armando Maradona, adesso perdiamo anche un simbolo di un tempo che non tornerà più. Perché Paolo Rossi ci ha fatto sognare come bambini, guardandolo 38 anni fa, mentre ci trascinava in un bellissimo e memorabile Mondiale. E’ stato lieve, sorridente e inafferrabile per tutta la vita Paolo. Proprio come un “elfo“. Ce lo ricordiamo tutti all’esordio in azzurro nella meravigliosa Nazionale che Bearzot, uno dei suoi padri con GB Fabbri e Azeglio Vicini”. Ce lo ricordiamo quando il “Vecio“ assemblò e inventò quella squadra per i Mondiali d’Argentina del 1978, gettando le basi del trionfo che sarebbe arrivato quattro anni più tardi. Lì, all’”Hindu Club”, sede del ritiro della spedizione azzurra, nacque “Pablito”.

Pablito se n’è andato a 64 anni. Troppo presto per uno che resta il bomber senza età. Non li dimostrava nel cuore, non li aveva nell’animo e neppure nella sua bellezza interiore mai compromessa dalle amarezze o dalle ingannevoli scariche di felicità che il pallone gli ha servito. Era invecchiato velocemente (e non per colpa sua) solo nelle ginocchia, massacrate dalle operazioni, dall’usura e dal tempo. Ma per fortuna la testa e la bontà d’animo erano più di un metro sopra i menischi. E per questo Paolo Rossi se n’è andato soffrendo, vero, ma nella serenità e circondato dall’affetto che si è costruito con amore e tenacia, giorno dopo giorno.

Quando, da campione del mondo e da idolo dei tifosi, Pablito andò da Boniperti a chiedere un piccolo aumento, ottenne un 20% in più che gli garantì 135 milioni all’anno (quanto guadagnerebbe oggi un top player di serie C): e Boniperti non la prese bene per quello che considerava una sorta di atto di sfida. Ma Paolo Rossi non ha mai nuotato nello sfarzo e nel lusso: certo, il benessere lo ha accompagnato nel post-carriera, ma solo perché lui ha sempre investito con intelligenza e accortezza il suo denaro (anche durante le interviste adorava parlare del suo “giocattolo“ più bello, l’agriturismo di Poggio Cennina, un piccolo paradiso). La gentilezza e il sorriso erano le sue caratteristiche migliori, e ora che se n’è andato il più mite, il più gentile, il più garbato degli eroi del Mundial è come se si fermasse il tempo. Paralizzato. Oscurato da una morte che ci rattrista tutti.

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