di Luca Guazzoni

Milano, 15 ottobre 2013 - L’ultimo dei "pasionari". E non solo per le idee progressiste che la sua famiglia ha portato avanti anche in politica (la moglie Milly è stata eletta nel consiglio comunale di Milano sempre per il centrosinistra, ma ora il suo destino sarà quello di rinunciare all’incarico di direttore artistico dell’Inter). Massimo Moratti è sempre stato un romantico, trascinato nello sport dal fulgido ricordo dei trionfi paterni mentre lui, ometto tutto da svezzare, imparava lo stile alto borghese della «Milano bene». Quella che lui ha tramandato ai figli e che loro tramanderanno ai nipoti. Una pasion che lo ha portato a compiere gesti discutibili e discussi (il famoso gesto dell’ombrello al rossonero Ronaldo, l’amore perduto, quello che Moratti ha vissuto come il tradimento per eccellenza, in un derby resta indimenticato e indimenticabile) oltre che acquisti straordinari; a litigi in pubblica piazza con i tifosi al bar (marzo 2007, con chi definiva “scudetto di cartone” quello che ha sempre creduto essere quello degli “onesti”) o allo stadio (a Novara, nel 2011 prima di silurare Gasperini, uno dei tanti frullati sulla panca nerazzurra) in netto contrasto ai gesti di sano altruismo che possono ricordare i suoi colleghi.

È stato il presidente del popolo. Scortese mai - o almeno, mai cafone -, sempre pronto e disponibile, con un sorriso quasi imbarazzato, a scattare una foto con i suoi tifosi, persone che lo aspettavano sotto gli uffici Saras per un incoraggiamento a «non mollare» l’Inter. A parlare con i giornalisti che hanno sempre assediato i marciapiedi di corso Vittorio Emanuele. Anche quando la cessione era imminente. Un presidente umano: appena una settimana fa, mentre una collega aspettava solitaria una sua dichiarazione, lui ha avuto la gentilizza, non potendosi fermare perchè al telefono, di rallentare e dargli una carezza sul viso. Come a scusarsi di averla fatta scomodare invano.

Un uomo che ha saputo soddisfare tutti i propri desideri togliendosi sfizi sul mercato che solo un proprietario innamorato follemente della propria creatura, risollevata dopo l’ultima gestione Pellegrini: il Massimo (ex futuro) presidente ha comprato chi ha voluto senza farsi mai ostacolare da chi aveva meno cuore e più mestiere. Ronaldo, Vieri (il suo blitz più costoso, una trattativa lampo da 90 miliardi), Crespo, Ibrahimovic, Eto’o - tutti rigorosamente in ordine sparso -. Una squadra all-star, da sogno. E poi i suoi pupilli: Recoba il primo, mancino fatato ma professionista della incostanza, Baggio, ostracizzato da Lippi e poi rimpianto, e Figo, nomen omen. Gli ultimi due in parabola discendenti magiocatori-galantuomini. Che Moratti sentiva molto affini a sè.

Tra tanti colpi anche tante cantonate. Sbeffeggio dei tifosi. Da Farinos a Vampeta, da Quaresma a Forlan. Tra gli uni e gli altri l’infausto Gresko, tormento del 5 maggio e pesante fardello morale della gestione Tardelli, altro nome che fa rizzare i capelli per via di un macabro 0-6 nel derby senza ammonizioni. Sfottò, insulti e critiche feroci che non gli hanno mai tolto la voglia di comandare l’Inter: «Un privilegio» e mai un dovere come ha sempre voluto sottolineare. Una scelta di vita che irritò anche la moglie, cui aveva promesso di non rilevare la società che fu dell’amato padre.

I rivali lo hanno sempre rispettato per i suoi modi da vero gentlemen (rarà qualità in mondo gestito da procuratori senza scrupoli e condotto da presidenti tagliagole), i tifosi inneggiato per la sua generosità, anche nei momenti più bui, contestato dalla Curva Nord per motivi che superavano la mancanza di scudetti. Meno bene è andata con gli allenatori, cambiati come costumi a Forte dei Marmi nel mese di agosto: 19 in 20 anni. Non il lavoro più stabile del mondo. Solo Mou, con la sua grinta e la sua personalità strafottente, lo conquistò sul serio. E piovvero trionfi con un Triplete storico e la vetta del mondo raggiunta ad Abu Dhabi. Il traguardo aspettato 15 anni.

Impossibile poi non citare il suo rapporto burrascoso con la Juventus, dal nemico storico (Luciano Moggi per chi fosse sbarcato da Marte), alle recenti faide con il nuovo Agnelli che avanza (Andrea). In ballo la “terza stella” e l’orgoglio degli innocenti che dall’altra parte vengono denominati prescritti. Più di una rivalità. Una guerra, che caracollava dal freddo al caldo a secondo del momento, che ha segnato due decadi del calcio nostrano. Del solitario Moratti contro il potere del «Palazzo», condotto nell’ombra da Big Luciano (radiato dalla Figc fino in Cassazione, ma che ora spera nel reintegro che potrebbe essere ordinato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo). Nemmeno Calciopoli gli ha strappato dal petto il sogno cullato una vita, eguagliare il padre. Ha vinto di più - risultato notevole -, senza rivoluzionare il gioco come fece la Grande Inter. Ci avrebbe messo la firma.